La guerra, l'amore, il basket

Prima due cecchini gli stravolgono la vita. Poi un mezzo miracolo gliela salva. E gliela stravolge di nuovo. Questa volta in positivo. Era l’8 luglio del 1993, ore 15. Ricorda tutto alla perfezione. Ma ci mette quella sana ironia del tempo capace, tutto malgrado, di smorzare gli eventi. "Meno male che quei due serbi mi spararono, è anche merito loro se ho conosciuto mia moglie Elmedina". Izet Sejmenovic, bosniaco, la incontrò al suo arrivo, in condizioni disperate, in un ospedale a qualche chilometro da Sarajevo. Cestista professionista, militava nel Slavonski Brod, serie A2 croata (due anni prima all’Olimpija Lubiana in A1). Allora 25enne, era in procinto di trasferirsi in Germania al Goettingen, in A1. Ma la guerra in Bosnia-Erzegovina gli stroncò la carriera: la ferita alla gamba destra gli impedì di giocare in piedi. Però l’amore, rimasto intatto, per il "suo" sport, lo fece virare verso il basket in carrozzina grazie anche al tecnico americano Ed Owen. Izet iniziò un autentico tour europeo: un anno in Bosnia (1996-’97), uno a Cantù (’97-’98), uno in Francia (’98-’99), 4 a Macerata (’99-2003). E gli ultimi sei a Gorizia, in A2, dove gioca tuttora con la Castelvecchio Gradisca. Si è ricostruito una nuova vita. Che quell’8 luglio sembrava al capolinea.
Tutto iniziò per aiutare l’amico Fuad Mesic, ferito fuori di casa sua. Trasportato in ospedale, chiamarono d’urgenza Sejmenovic: avevano bisogno del suo sangue, compatibile con quello del compaesano ferito. Il nosocomio era distante 25 km. Auto inesistenti, strade principali non percorribili perché sotto la mira infallibile dei cecchini serbi. Non c’erano alternative ai sali scendi su strada sterrata. "Ci impiegai 6-7 ore per recarmi all'ospedale a donare il sangue". Al ritorno, dopo 50 km a piedi, la fatica gli suggerì di percorrere gli ultimi 200 m dall’arrivo a casa lungo la direttrice principale. Errore fatale: i cecchini lo colpirono alla gamba destra e all’addome. Straziante: le interiora dell’intestino fuoriuscirono e volarono a qualche metro da lui. Che non potè chiamare aiuto: non riusciva a parlare. Prevalse l’istinto: Izet raccolse le interiora e se le attaccò nell’addome. "Ma era difficile tenerle assieme: erano viscide, scivolavano. In quei secondi vedevo di tutto, ma avevo voglia di vivere".
Sejmenovic venne trasportato all’ospedale. I medici si trovarono di fronte a un caso unico. Tant’è che dovettero improvvisare l’intervento, ma solo su autorizzazione del paziente. Lo operò un medico americano. E tutto andò bene. Non senza l’aiuto, determinante, di sua futura moglie Elmedina che lavorava al laboratorio di analisi. "In ospedale ero già stato poco prima. Quando ci tornai lei mi riconobbe e prelevò la sacca di sangue, inutilizzato, che avevo donato. Fu determinante". Scattò il colpo di fulmine: "Ci sposammo dopo 4 mesi, nell’ottobre del 1993, in ospedale". Dal loro amore è nata Alma, 12 anni. Fu l’inizio di una nuova vita. Il crocevia inatteso. Che lo fece approdare al basket in carrozzina. Lo scorso anno è stato miglior realizzatore. Izet giocava contro Alibegovic e Bodiroga. Altri palcoscenici ma, forse, non la stessa palestra di vita: "Frequentare le persone in carrozzina mi ha fatto capire cosa conta nella vita". La sua nuova vita.
Fonte "Gazzetta dello Sport" articolo di Alberto Francescut
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