Grand, Gross e Ciula!

da BasketGround.it di Enrico Maria Corno
E’ la tipica espressione milanese usata dalla gente comune per indicare quegli omoni che si incontrano per strada nella vita quotidiana, sconvenientemente enormi nel fisico, troppo grandi per essere dei semplici marcantoni, le cui dimensioni sembrano essere inversamente proporzionali alla acutezza della mente.
La brillantezza dello sguardo infatti di solito non lascia supporre che ci si trovi di fronte ad un prossimo invitato ai Nobel di Stoccolma.
Questo è un detto milanese che per anni spesso si è ben accompagnato a elementi proprio della panchina della squadra biancorossa…
Una volta c’era Mario Governa, il decimo della Tracer che fu. Era di un’altra categoria: un ragazzotto della sana campagna lombarda, di quelli che trovi nei bar della bassa, a cui la natura aveva semplicemente dato un paio di spanne in più di muscoli. Pur non essendo un campione, gli avevano permesso di essere campione d’Europa vincendo tutto con D’Antoni e Meneghin. Era uno di noi e pienamente degno di rispetto.
Altri lo sono stati decisamente meno.
Milano sembrava aver ormai storicamente consolidato la tradizione che vuole avere un secondo (meglio se un terzo) lungo grande e grosso, poco dotato tecnicamente, quasi sempre bianco latte e biondino e dall’espressione non proprio sveglia.
Non ce ne vogliano… diciamo che sembrava reiterarsi la consuetudine tipica delle squadre NBA che hanno un terzo centro bianco (a volte è anche l’unico non afro-americano della squadra) che, nelle rare volte che tocca il campo, serve come carne da macello in difesa e, nelle situazioni più nobili, a fare blocchi in attacco possibilmente non flaccidi.
Anche in America però questi lungagnoni oggi sono in via d’estinzione sebbene, per le questioni socio-commerciali appena citate, qualche ultimo dinosauro della specie riesca a resistere all’aggressione di decine di 2.20 di origine senegalese.
Proprio D’Antoni a Phoenix, forse memore di quanto sopra, ne ha addirittura due in squadra che utilizza solo per portare gli asciugamani, anzi per appenderli essendo alti come degli attaccapanni: tali Pat Burke e Sean Marks.
In ogni parte del mondo questa categoria di giocatore fu perennemente, per sua natura, bersagliata dall’ironia, nel migliore dei casi, di tifosi e addetti ai lavori.
Tornando a Milano, terra promessa dei “grand, gross e ciula”, qualcuno ricorderà Josh Sankes, secondo centro biancorosso che all’inizio del millennio 2000 interpretava il ruolo del predestinato: 2 metri e 13 e lo sguardo troppo timido e perso per incutere timore nell’area colorata.
Il soprannome “Birillone” anticipò il suo arrivo in Italia e, in effetti, la coordinazione non sembrava essere la sua migliore dote fisica ma, ciò nonostante, nella trasferta di Pesaro fu l’unico capace di difendere su Maggioli. Stica! Meco!
“Il palo della banda dell’Urtiga”, per evidenti ragioni, emigrò con relative maggiori fortune in Turchia e/o Russia.
Destino migliore ebbe prima di lui Steve Goodrich, flaccido viso pallido arrivato alla corte di Saibene con un curriculum da terza divisione, poi approdato per un annetto da dodicesimo ai Chicago Bulls. La mano dolce dai cinque metri gli regalò qualche attimo di gloria a Milano e un minimo garantito da lungo specialista capace di stare in campo un paio di minuti a partita tra i grandi.
Almeno John Garavaglia — poi passaportato portoghese - aveva un tatuaggio e una faccia da camallo cattivo. Probabilmente il peggiore di tutti, nella storia quasi recente, fu Milan Jeremic, serbo di 2 metri e 10 della prima Adecco, uno che faceva sembrare Mikkel Larsen un grande campione. Jeremic si faceva crescere un filo di barba per assomigliare a Divac e sulla di lui reputazione circolano ancora le barzellette negli spogliatoi del Lido.
Alec Kessler fu l’ultimo vero rossodicapelli americano arrivato a Milano in quello sfortunato campionato del 1990 e chisseloricorda. È da considerarsi un fuori quota in questa speciale parata dei lungagnoni: ne è esentato almeno per la carnagione (era perennemente abbronzato), perché sapeva quantomeno dove si trovava in campo, per il suo background cestistico (era stato una prima scelta alta per Miami) e per quello scolastico (ora è uno stimato chirurgo).
Era noto negli Stati Uniti per aver vinto lo speciale premio per il miglior giocatore-studente della Nazione e Milano gli fu utilissima perché qualche tifoso — nemmeno pochi - gli fece capire che quello del centro d’area non era il suo mestiere. Evidentemente qui cercava di aver cura delle proprie mani e non andava a spaccarsi le dita in improbabili stoppate.
Bene, qual è la questione?
Purtroppo questi centroni bianchi, grossi e mollicci, figli di un basket che c’era solo poco tempo fa, oggi non ci sono più. E un po’ ci mancano. Ci facevano sentire bene nella nostra infima statura di uomini normali. Ed eravamo convinti, spesso a ragione, di sapere tirare almeno i liberi meglio di loro.
Sì, lo so che vi vengono in mente molti altri nomi attuali o del recente passato, tra tutte le squadre, che potrebbero essere assimilati alla lista. Qualcuno qui ci ha provato all’inizio perfino con Sven Schultze ma da quando si è messo a segnare da tre non è più la stessa cosa…

Commenti

  1. sasha grande motivatore e sven, un grande professionista.Tutti i lungagnoni di Milano ora giocano in molte serie minorite lo ricordi "Zanna" era un 80/79 bi campione d'italia junior e adesso gioca il 1 divisione

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