Finita la settimana dei veleni

Anzi, la definirei, una conclusione, in cui PierMario Tronco, nel suo editoriale, spera finalmente di mettere la parola fine a quanto avvenuto e che "ognuno faccia il proprio mea culpa e si cosparga il capo di cenere, perché a far grande una persona è la sua capacità di dire “ho sbagliato” senza aspettare che lo faccia prima l’altro" perchè "In questa settimana molti hanno contribuito a creare un clima di veleni" e "la verità non va distorta, ne nascosta".
Riporto per intero l'editoriale:
Riporto per intero l'editoriale:
Si conclude finalmente una settimana che avremmo voluto cancellare dal calendario, fatta di eccessi, di esagerazioni su tutti i fronti, che hanno creato un clima schizofrenico attorno alla squadra e alla città. Cominciamo con l’Inferno, il cui comportamento ha avuto suo malgrado il merito di ricompattare la squadra all’interno ed attorno a coach Frates, ma contemporaneamente ha creato una inedita (ed inaspettata) frattura tra curva e tribune, su cui ci sarà molto da riflettere in futuro. Adesso il pubblico sembra diviso tra chi vuole la testa di Frates, e chi quella di Betti; potremmo poi suddividere gli umori in altri sottogruppi, quelli che vorrebbero mandarli via entrambi, e quelli che vogliono che entrambi restino a lavorare. Ma si dimentica che c’è una società capace di provvedere a sé stessa, a cui abbiamo affidato le nostre speranze, e che finora ha egregiamente dimostrato di saper fare le proprie scelte. Sinceramente, e diciamo una enorme ovvietà, crediamo che il diritto/dovere del pubblico pagante, sia quello di incitare la squadra per 40 minuti, ed eventuali dissensi (sempre entro i canoni della civiltà) vadano manifestati a fine partita, perché nessuno può arrogarsi il diritto di danneggiare il lavoro di una società che sta facendo sacrifici enormi per garantire a Caserta un palcoscenico così prestigioso. Personalmente, non mi sono mai unito, e mai lo farò, a cori “contro”; il diritto alla critica e al dissenso è sacrosanto, ma va manifestato in modi e tempi che non danneggino né la squadra, né altri tifosi che vogliono giustamente contribuire col loro calore a costruire una vittoria. Un attimo dopo la sirena, siamo liberi di applaudire, stare in silenzio o fischiare. Ma prima, si sta tutti insieme, oppure si resta a casa. Forse, e lo diciamo con profondo dispiacere, l’errore più grande dell’Inferno Bianconero, è stato (ed è) quello di credersi gli unici veri sostenitori della squadra, come se gli altri fossero tifosi di serie B, perché non fanno cori, e non vanno in trasferta. E’ un errore di presunzione che ieri hanno pagato, quando il resto del palazzetto gli ha clamorosamente voltato le spalle, accusando la curva implicitamente di quanto è successo in settimana. Detto questo, è doveroso non dimenticare quanto importante sia il ruolo dell’Inferno, curva unica per calore ed attaccamento alla squadra, fatta di ragazzi pieni di sana passione, totale antitesi di come sono stati dipinti dai mass media in questi giorni. Ma la vera forza di un individuo (o di un gruppo) sta nella capacità di ammettere gli errori ed i limiti, di mettersi in discussione al di là dei meriti, che sono tanti. In questa settimana molti hanno contribuito a creare un clima di veleni, e siccome crediamo che nessuno sia depositario della verità assoluta, ci piacerebbe (ma sappiamo che non succederà) che ognuno faccia il proprio mea culpa e si cosparga il capo di cenere, perché a far grande una persona è la sua capacità di dire “ho sbagliato” senza aspettare che lo faccia prima l’altro. E’ avvilente che anche ieri il TG nazionale abbia messo Caserta in copertina manco ci fossero dei criminali pronti ad aggredire chiunque ieri all’interno del Palamaggiò, in un clima di intimidazione e ricatto. Questa è una totale montatura, che continua ad essere perpetrata da giornali prestigiosi (la Gazzetta dello Sport in primis), che hanno sputato sentenze su una città e su una tifoseria che mai si è resa protagonista di episodi violenti. C’è forse voglia di fare facili ascolti con la subdola, odiosa e grossolana equazione Caserta = Gomorra, squallida semplificazione di un quadro sociale che è lontano anni luce da ciò che si vede da anni attorno al basket. Non siamo abituati a minimizzare nulla, e odiamo a tutti i livelli i sentimenti di omertà che ci condannano da sempre ad inseguire modelli di società certamente più evoluti, ma allo stesso tempo non ci piace essere dipinti per quello che non siamo, e non siamo mai stati. Mercoledì è successa una cosa antipaticissima, brutta; lo sappiamo tutti, e lo sanno anche i ragazzi che si sono resi protagonisti del fatto. Ma sono state dette cose sbagliate, e l’opinione pubblica ha cavalcato un’onda anomala creata ad arte. E’ vero che l’aggressione c’è stata, ma parliamo di “aggressione” quando si nega ad una persona di fare quello che è suo diritto, ovvero lavorare. E’ stato interrotto un allenamento, ovvero un “lavoro”, e questa è di per sé una aggressione, in senso etico. Qualche lettore della famigerata Gazzetta ha sottolineato che non è intervenuta la Polizia e nessuno l’ha chiamata, facendo sottintendere un clima di omertà e di sottomissione al sopruso e alla violenza. A questo lettore non è venuto in mente che la Polizia non c’era perché non ce n’è stato bisogno, e la cosa è finita come era cominciata, senza alcun rischio dell’incolumità di nessuno. La stessa Polizia allertata per il match di ieri, ha assistito a schermaglie verbali tra fazioni di pubblico contrapposte, senza che nessuno abbia minacciato l’altro, o ci sia stata minaccia o paura di aggressione. Questa è la Caserta del basket, una squadra che vive la sua passione in maniera morbosa, a volte esagerata, e di cui paga le conseguenze in termini di tensione, attese ed aspirazioni legittime o meno. Alzi la mano chi ha assistito negli anni ad episodi di violenza, anche verso altre squadre, o tifosi avversari, o arbitri, al di là delle schermaglie verbali, che però crediamo accomunino Caserta ad ogni altro palazzetto della penisola. Al Palamaggiò ci vanno famiglie con bambini, ragazzini, persone di ogni tipo; questi signori credono sia possibile aggregare insieme tante persone se il clima generale fosse quello di sottomissione ad una curva di “delinquenti comuni”? Anche noi nei giorni scorsi abbiamo espresso giudizi, anche piuttosto duri, nei riguardi della squadra. La nostra più grande soddisfazione sarebbe quella di dover chiedere scusa, perché abbiamo sbagliato a vedere del marcio dove il marcio non c’era. Chiediamo, ma senza illusione di essere esauditi, che ognuno dei protagonisti di questa pagina amara (di cui speriamo di non parlare mai più) faccia la stessa cosa. La curva ammetta che il comportamento di alcuni suoi soci ha fatto danni enormi, soprattutto all’immagine della città, e che è stato un atto di arroganza di cui è giusto assumersi la responsabilità. Questo non sminuirà il ruolo dell’Inferno, anzi gli darà lo spessore di gruppo di ragazzi capaci di ragionare e di mettersi in discussione, pieni di cuore e di passione, ma anche imperfetti, non infallibili, e soprattutto non onnipotenti. Altrimenti corre il rischio di alimentare l’accusa di omertà che ci piove addosso da ogni parte d’Italia. La Gazzetta dello Sport, o chi ha cavalcato l’audience di questo episodio (ma qui sappiamo che nessuno farà una rettifica di alcun tipo) dovrebbe ammettere che, al di là della stigmatizzazione giusta e doverosa, a Caserta non c’è alcun tipo di pressione delinquente su un ambiente che da anni vive tranquillamente uno stato di simbiosi col suo pubblico. Chi ha sputato sentenze su questo ambiente, ignora, o finge di ignorare, che tifosi e giocatori vivono a stretto contatto, cenano insieme, si scambiano telefonate o sms, discutono tra di loro, sognano, esultano e si disperano insieme. Questo da sempre, ed è una cosa a nostro avviso bellissima, quasi unica nel panorama nazionale. Anche giocatori che oggi non sono più a Caserta, continuano a tenersi in contatto con molti casertani, spesso ragazzi dell’Inferno, a dimostrazione che ciò che è successo (antipatico quanto vogliamo, e da non ripetere mai più) non è un tentativo di intimidazione di alcun tipo, ma un goffo, mal riuscito, arrogante tentativo di scuotere una squadra da una apatia presunta, con l’ingenua illusione di poter fare dall’esterno ciò che la società non riusciva ad ottenere dall’interno, con la professionalità dei suoi uomini. E dispiace infine, che anche la società, il presidente Caputo in primis, sia stata dipinta come una società in balia di delinquenti, incapace di prendere una posizione per paura di chissà quali ritorsioni (bombe? gambizzazioni? incendi dolosi? Ma non scherziamo, su!), e quindi complice di una delinquenza diffusa figlia di una mentalità camorristica. Accuse gravissime, che meriterebbero grande rispetto se chi le fa ha toccato con mano la realtà che racconta, e si assume i rischi di denunciare ciò che vede. Ma se invece chi fa queste accuse, non si degna nemmeno di approfondire l’argomento, di conoscere le dinamiche dei rapporti tra una società ed i suoi tifosi, allora è un pessimo commentatore, che vende l’immagine di una società (una città) che fa enormi sforzi per affrancarsi da un contesto sociale ed economico difficilissimo, e che invece viene venduto per trenta denari, ovvero un pò di copie vendute, per la grossolanità, la superficialità, la banalità e forse la cattiva fede di certe analisi. E adesso, torniamo a parlare di basket per quello che è, ovvero una palla da lanciare verso un canestro. Con buona pace di tutti.
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