«Sogno l'Nba, ma alla maglia azzurra non rinuncio»

Come sta andando questo inizio di stagione?
«Direi bene. Abbiamo un record di 6 vinte – 3 perse, e stiamo entrando in forma. L'inizio è stato pieno di alti e bassi, ma ora abbiamo preso il ritmo giusto, stiamo cominciando a capire il "sistema" di gioco di coach Tim Floyd. A gennaio poi scatta la Pacific Ten Conference».
L'obiettivo dichiarato è quello di prendere parte, anche quest'anno alla "March Madness", la "pazzia di Marzo", come è definito il torneo finale dell'Ncca, che seleziona le quattro finaliste del campionato, che si giocheranno poi il titolo alle Final Four...
«Chiaro che vogliamo prendere parte anche noi a quella che è vissuta come una grande festa nazionale, qui negli Stati Uniti. Le 64 partecipanti al torneo finale vengono selezionate da una commissione ad hoc, visto che sarebbe impossibile stilare una classifica precisa, tenendo conto del numero e del diverso livello delle squadre universitarie. Una volta stilato il tabellone finale, si procede a forza di scontri diretti fino alle Final Four. È una grande emozione. Negli ultimi due anni siamo riusciti a prendervi paete: la prima stagione siamo usciti contro North Carolina alle "Sweet Sixteen" (ai 16esimi di finale, ndr); lo scorso anno ci ha eliminato al primo turno Kansas State, dove giocava quel Michael Bearsley, ora protagonista nell'Nba a Miami».
Quest'anno le Final Four si giocheranno a Detroit, capitale dell'industria motoristica americana, la più colpita dalla crisi economica. Credi che dalla festa del basket universitario possa arrivare un po' di ottimismo in questo momento difficile?
«Spero di si. È un momento difficile, e dobbiamo aggrapparci a tutto per tirar fuori la forza per reagire. Le Final Four sono seguite da milioni di persone in tutti gli States e sono una buona occasione per far sentire il Paese più unito e solidale. E poi spero proprio che con l'arrivo del nuovo presidente Obama le cose inizino a migliorare. Sono fiducioso, ma non si può nascondere che qui, oggi, proprio la crisi è l'argomento principale: è sulla bocca di tutti, dalla gente comune ai media».
Torniamo sul parquet. L'America del college basketball sta impazzendo per Stephen Curry, playmaker di Davidson che quasi non arriva a 1 metro e 80, ma che sforna partite da 30 punti e 10 assist. Che te ne sembra? Può avere un futuro in Nba?
«Difficile dirlo. Di sicuro a livello di college sta facendo cose incredibili, e qui c'è una grande attenzione per lui. Ha un talento straordinario, ma i suoi limiti fisici potrebbero condizionarne un'eventuale carriera tra i professionisti. Secondo me dovrebbero tenerlo d'occhio anche gli scout europei, perché magari potrebbe sbarcare anche nel Vecchio Continente..».
L'Ncaa è sempre stato il metro di paragone per misurare differenze e similitudini tra il basket a stelle e strisce e quello europeo. Ci sono ancora delle differenze? Quali?
«La differenza maggiore è che tra i college il livello del gioco di squadra è molto meno omogeneo. Ogni sera giochi contro qualche grande talento individuale, ma ci sono squadre poco organizzate e altre che, invece, hanno un impianto di gioco molto sistematico, vicino a quello europeo. Sono queste, di solito, che vanno avanti fino al momento decisivo della stagione. Poi c'è ancora qualche differenza regolamentare (il tiro da 3 punti a 6 metri, i 45 secondi per l'azione d'attacco, ndr), ma non ha un grande peso».
Nba o Europa. Tra poco anche tu dovrai fare una scelta...
«Sono al terzo anno di università, e sicuramente resterò un'altra stagione qui, per completare gli studi e migliorarmi come giocatore. Poi il sogno è quello di essere scelto al draft Nba. Se non dovesse accadere, potrei pensare a un'esperienza in Europa, per poi magari provare il grande salto nell'Nba più in là».
I tuoi idoli?
«Apprezzo tantissimo lo spirito dei Boston Celtics, la grinta e la determinazione di campioni come Pierce e Garnett. E poi Wade, LeBron James, Kobe Bryant, Nowitzki, Chris Paul...».
E gli azzurri? Sei in contatto con Gallinari, Belinelli, Bargnani?
«Ogni tanto ci sentiamo. Proprio recentemente ho sentito Belinelli: gli ho detto di tenere duro, perché sicuramente uscirà fuori col suo talento. Anzi, nelle ultime gare sta già facendo benissimo. Danilo so che è molto impegnato nel recuperare dall'infortunio alla schiena: spero proprio che rientri alla grande! Il "mago"? Dura contattarlo, perché lui qui in America ormai è un giocatore molto famoso. Ma qualche settimana fa sono andato allo Staples Center a vedere i suoi Raptors contro i Lakers. Anche lui sta lottando e lavorando duro: sono sicuro che anche per lui arriveranno i buoni risultati».
A Los Angeles, voi Trojans (così sono soprannominati i giocatori di USC, ndr) siete degli idoli. Qual è il rapporto con i tifosi?
«I nostri tifosi sono i nostri amici, i nostri compagni di classe, i ragazzi con cui usciamo e andiamo tutti i giorni a studiare, o al cinema o a mensa. Per questo c'è un legame intenso e profondo, e da parte nostra, ogni volta che scendiamo in campo c'è l'orgoglio di rappresentare tutta la nostra Università».
E com'è la vita nel doppio ruolo di playmaker e studente?
«È dura, è dura (e ci scappa una gran risata, ndr)! Al liceo ero un mago in geometria, adesso sono una schiappa! La mattina si va a lezione, poi ci sono tre ore di allenamento pomeridiane, poi la sera almeno un paio le passi sui libri prima di addormentarti distrutto...Però questo fine settimana ho dato alcuni esami: dovrebbero essere andati bene...incrociamo le dita!».
E la "tua" Los Angeles come è fatta? Come passi il tempo libero?
«Mi piace scoprire posti nuovi, gli angoli nascosti di questa città fantastica. Spesso prendo la macchina e mi faccio qualche giretto a Hollywood, o sulle colline Beverly Hills, o alla spiaggia di Santa Monica. E poi ci sono i derby con Ucla: a quelli non rinuncerei per niente al mondo!».
Ma prima o poi il cittì Recalcati ti richiamerà in Europa: alla Nazionale serve un playmaker...
«Ma no! Richiamate Pozzecco (e ride, ndr) che è ancora un fenomeno! E ci sono Vitali, Poeta... Direi che come registi siamo messi bene. Io ovviamente sono sempre pronto a rispondere alla chiamata della Nazionale, con orgoglio e passione. E sono sempre pronto anche a giocarmi il posto in squadra».
Un'ultima cosa. Meglio l'alba in riva all'Adriatico o il tramonto sulla spiaggia di Santa Monica?
«Scelta difficile, sono due spettacoli impagabili... Facciamo così: Los Angeles va bene per le vacanze, ma nel mio cuore c'è sempre Pesa
ro».
Fonte "Sole24Ore"
«Direi bene. Abbiamo un record di 6 vinte – 3 perse, e stiamo entrando in forma. L'inizio è stato pieno di alti e bassi, ma ora abbiamo preso il ritmo giusto, stiamo cominciando a capire il "sistema" di gioco di coach Tim Floyd. A gennaio poi scatta la Pacific Ten Conference».
L'obiettivo dichiarato è quello di prendere parte, anche quest'anno alla "March Madness", la "pazzia di Marzo", come è definito il torneo finale dell'Ncca, che seleziona le quattro finaliste del campionato, che si giocheranno poi il titolo alle Final Four...
«Chiaro che vogliamo prendere parte anche noi a quella che è vissuta come una grande festa nazionale, qui negli Stati Uniti. Le 64 partecipanti al torneo finale vengono selezionate da una commissione ad hoc, visto che sarebbe impossibile stilare una classifica precisa, tenendo conto del numero e del diverso livello delle squadre universitarie. Una volta stilato il tabellone finale, si procede a forza di scontri diretti fino alle Final Four. È una grande emozione. Negli ultimi due anni siamo riusciti a prendervi paete: la prima stagione siamo usciti contro North Carolina alle "Sweet Sixteen" (ai 16esimi di finale, ndr); lo scorso anno ci ha eliminato al primo turno Kansas State, dove giocava quel Michael Bearsley, ora protagonista nell'Nba a Miami».
Quest'anno le Final Four si giocheranno a Detroit, capitale dell'industria motoristica americana, la più colpita dalla crisi economica. Credi che dalla festa del basket universitario possa arrivare un po' di ottimismo in questo momento difficile?
«Spero di si. È un momento difficile, e dobbiamo aggrapparci a tutto per tirar fuori la forza per reagire. Le Final Four sono seguite da milioni di persone in tutti gli States e sono una buona occasione per far sentire il Paese più unito e solidale. E poi spero proprio che con l'arrivo del nuovo presidente Obama le cose inizino a migliorare. Sono fiducioso, ma non si può nascondere che qui, oggi, proprio la crisi è l'argomento principale: è sulla bocca di tutti, dalla gente comune ai media».
Torniamo sul parquet. L'America del college basketball sta impazzendo per Stephen Curry, playmaker di Davidson che quasi non arriva a 1 metro e 80, ma che sforna partite da 30 punti e 10 assist. Che te ne sembra? Può avere un futuro in Nba?
«Difficile dirlo. Di sicuro a livello di college sta facendo cose incredibili, e qui c'è una grande attenzione per lui. Ha un talento straordinario, ma i suoi limiti fisici potrebbero condizionarne un'eventuale carriera tra i professionisti. Secondo me dovrebbero tenerlo d'occhio anche gli scout europei, perché magari potrebbe sbarcare anche nel Vecchio Continente..».
L'Ncaa è sempre stato il metro di paragone per misurare differenze e similitudini tra il basket a stelle e strisce e quello europeo. Ci sono ancora delle differenze? Quali?
«La differenza maggiore è che tra i college il livello del gioco di squadra è molto meno omogeneo. Ogni sera giochi contro qualche grande talento individuale, ma ci sono squadre poco organizzate e altre che, invece, hanno un impianto di gioco molto sistematico, vicino a quello europeo. Sono queste, di solito, che vanno avanti fino al momento decisivo della stagione. Poi c'è ancora qualche differenza regolamentare (il tiro da 3 punti a 6 metri, i 45 secondi per l'azione d'attacco, ndr), ma non ha un grande peso».
Nba o Europa. Tra poco anche tu dovrai fare una scelta...
«Sono al terzo anno di università, e sicuramente resterò un'altra stagione qui, per completare gli studi e migliorarmi come giocatore. Poi il sogno è quello di essere scelto al draft Nba. Se non dovesse accadere, potrei pensare a un'esperienza in Europa, per poi magari provare il grande salto nell'Nba più in là».
I tuoi idoli?
«Apprezzo tantissimo lo spirito dei Boston Celtics, la grinta e la determinazione di campioni come Pierce e Garnett. E poi Wade, LeBron James, Kobe Bryant, Nowitzki, Chris Paul...».
E gli azzurri? Sei in contatto con Gallinari, Belinelli, Bargnani?
«Ogni tanto ci sentiamo. Proprio recentemente ho sentito Belinelli: gli ho detto di tenere duro, perché sicuramente uscirà fuori col suo talento. Anzi, nelle ultime gare sta già facendo benissimo. Danilo so che è molto impegnato nel recuperare dall'infortunio alla schiena: spero proprio che rientri alla grande! Il "mago"? Dura contattarlo, perché lui qui in America ormai è un giocatore molto famoso. Ma qualche settimana fa sono andato allo Staples Center a vedere i suoi Raptors contro i Lakers. Anche lui sta lottando e lavorando duro: sono sicuro che anche per lui arriveranno i buoni risultati».
A Los Angeles, voi Trojans (così sono soprannominati i giocatori di USC, ndr) siete degli idoli. Qual è il rapporto con i tifosi?
«I nostri tifosi sono i nostri amici, i nostri compagni di classe, i ragazzi con cui usciamo e andiamo tutti i giorni a studiare, o al cinema o a mensa. Per questo c'è un legame intenso e profondo, e da parte nostra, ogni volta che scendiamo in campo c'è l'orgoglio di rappresentare tutta la nostra Università».
E com'è la vita nel doppio ruolo di playmaker e studente?
«È dura, è dura (e ci scappa una gran risata, ndr)! Al liceo ero un mago in geometria, adesso sono una schiappa! La mattina si va a lezione, poi ci sono tre ore di allenamento pomeridiane, poi la sera almeno un paio le passi sui libri prima di addormentarti distrutto...Però questo fine settimana ho dato alcuni esami: dovrebbero essere andati bene...incrociamo le dita!».
E la "tua" Los Angeles come è fatta? Come passi il tempo libero?
«Mi piace scoprire posti nuovi, gli angoli nascosti di questa città fantastica. Spesso prendo la macchina e mi faccio qualche giretto a Hollywood, o sulle colline Beverly Hills, o alla spiaggia di Santa Monica. E poi ci sono i derby con Ucla: a quelli non rinuncerei per niente al mondo!».
Ma prima o poi il cittì Recalcati ti richiamerà in Europa: alla Nazionale serve un playmaker...
«Ma no! Richiamate Pozzecco (e ride, ndr) che è ancora un fenomeno! E ci sono Vitali, Poeta... Direi che come registi siamo messi bene. Io ovviamente sono sempre pronto a rispondere alla chiamata della Nazionale, con orgoglio e passione. E sono sempre pronto anche a giocarmi il posto in squadra».
Un'ultima cosa. Meglio l'alba in riva all'Adriatico o il tramonto sulla spiaggia di Santa Monica?
«Scelta difficile, sono due spettacoli impagabili... Facciamo così: Los Angeles va bene per le vacanze, ma nel mio cuore c'è sempre Pesa
ro».
Fonte "Sole24Ore"
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