Sponsor, il primo oro di Pechino

I cinque cerchi sono disegnati sulla mappa della città, sono gli anelli di superstrada che dividono i quartieri di Pechino a strati. L’edilizia popolare all’esterno e dentro Wangfujing, il distretto supermarket. Proprio lì si vede la battaglia dei loghi e gli sponsor che occupano il mercato asiatico, mattone sopra mattone.
In principio fu la Nike, due blocchi di strada per fare un negozio inaugurato l’anno scorso e oggi coperto dalle gigantografie di LeBron James, due settimane fa è arrivato il megastore Adidas: 10 mila metri quadri e tutte le linee presenti insieme per la prima volta. C’è la maglia di Messi e anche il completo yoga Stella McCartney e il body con il programma di allenamento incorporato.
Streetwear e materiale super tecnico appesi uno vicino all’altro e Pechino è il solo posto al mondo dove hanno tentato l’esposizione totale. C’è spazio anche per le vetrine Li Ning, abbigliamento sportivo locale che vuole usare le Olimpiadi per sfidare i colossi: sono cresciuti del 23 per cento solo negli ultimi sei mesi. E’ tutto in mostra per sedurre un miliardo e oltre di cinesi, soprattutto quei 250 milioni identificati dalle società di ricerca come «ceto in crescita». Gente che deve decidere da che parte stare, a che marchio votarsi. Non c’è mai stata un’Olimpiade più ricca per gli sponsor e mai così tanto prestigio in ballo. Non si parla di quante medaglie d’oro vanno a ciascuno ma di chi si prende la fetta più grande di mondo. Adidas comanda in Europa, Nike in America: decide l’Asia, meglio: Pechino 2008 e servono facce per colonizzarla. Infatti ci sono tutti, anche i campioni del pallone e del tennis poco abituati allo spirito olimpico. Ronaldinho contro Messi e una valanga di basket in formato poster, Federer e Nadal, rivali nella stessa squadra, quella del baffo sui vestiti. Da queste parti l’infortunio di lady Sharapova turba più il merchandising del tabellone. Servono i nomi adesso, lo sport arriverà: nuoto e atletica aspettano il cronometro, il resto è già appeso al muro.
I super testimonial non hanno bonus di partecipazione, ma incassano in base alle quote di mercato che smuovono. Hanno litigato per esserci: Ronaldinho con mezzo mondo, Messi con il Barcellona che l’ha cresciuto e guarito, però stavolta bisogna rendere omaggio a mamma Adidas. In Cina lo ha tutto per sé. In Spagna la squadra veste Nike e lui no, qui è l’immagine al cubo: nazione, Argentina, più singolo, Lionel Messi. Un’integrità che non si vede mai perché il trucco sta nello sgretolarla. A te il giubbotto, a me il calzino, la strategia segue un piano di occupazione preciso. Nike ha sotto contratto 22 delle 28 federazioni cinesi presenti, significa che a quel punto non importa di chi è l’atleta: la gente si confonde. L’identità commerciale però diventa marchio nella cattiva sorte per questo i brand scappano dal ciclismo: i casi di doping li travolgono. Eppure è tutto parte della catena alimentare: le vittorie portano contratti, più si vince e più si firma e i limiti sbiadiscono. Ora che la caccia al drogato manda all’aria troppe campagne si usa la clausola rescissoria: se sei positivo perdi medaglie e dignità, non puoi rappresentare nessun paio scarpe.
Shaun Rein è il direttore della China Market Research, di mestiere fa il tracciatore di gradimento e ha scoperto che il 40 per cento di chi vive qui non ha idea di quali siano gli sponsor ufficiali e quali no. In realtà i top partner sono solo 12 e hanno pagato quasi 100 milioni di dollari a testa per un’esclusiva che secondo gli esperti i cinesi non riconoscono. Sono infedeli. Non importa se la Coca Cola si sposa con le Olimpiadi dal 1928 e se dentro un qualsiasi impianto è l’unica bevanda concessa. L’assolutismo non è garanzia che sarà quella la marca a finire nel carrello del supermercato. Il 50 per cento di un campione tra i 18 e i 45 anni, non la identifica come la bevanda da comprare. Il signor Rein spiega che «non è una perdita, se rifacessimo l’inchiesta in un altro mese il risultato cambierebbe. E’ un mercato aperto». Far East da conquistare a colpi di pubblicità: Nike sceglie Liu Xiang: la faccia delle Olimpiadi e Adidas risponde con la massa, ha griffato tutti i volontari, centomila persone a zonzo in divisa, e ha progettato una campagna sull’orgoglio nazionale. In primo piano il campione, sullo sfondo un muro di facce e mani a sostenerlo, la Cina intera.
Il momento buono è questo, delle 12 sorelle solo 8 hanno rinnovato l’investimento per le Olimpiadi di Vancouver 2010 e Londra 2012, gli altri cedono, contava esserci a Pechino.
Qualche mese fa la cordata di sponsor era incagliata nei diritti umani, molti li hanno inseriti nei conti della società con donazioni e ricerca per schivare il boicottaggio. Oggi nessuno si muove per Pechino con la maglietta pro Tibet addosso, ma qualcuno di certo è pagato per contare quante maglie Adidas, Nike, Li Ning, Puma, Reebok... Chi ha scelto cosa nelle Olimpiadi che decidono il mercato.

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