Belinelli: "Ora so di essere da Nba"
Il bolognese dà un giudizio sul suo anno di rookie nei Golden State Warriors:
"Mi aspettavo di avere un po' più di spazio, è vero, ma sono giovane e ho tanto tempo davanti. Il mio momento arriverà, lo sto aspettando con pazienza. I miei rapporti con coach Nelson? Normali"
Non e’ stato certo l’anno da rookie che Marco Belinelli si sarebbe aspettato. Dopo le belle parole spese dalla dirigenza dei Warriors dopo il draft e le grandi prestazioni alla Sumer League di Las Vegas, l’azzurro sembrava destinato a una stagione da protagonista. Lo stesso Nelson a settembre, poco prima dell’inizio della preseason, lo aveva definito "uno dei rookie più maturi che io abbia mai visto". Si parlava addirittura di una forte candidatura di Beli alla maglia di titolare lasciata libera da Jason Richardson, passato ai Bobcats.
Invece tutto e’ andato in modo decisamente diverso. Marco Belinelli ha avuto pochissime occasioni a novembre, in una squadra che peraltro ha trovato la sua quadratura solo dopo il rientro di Stephen Jackson. Ben presto Don Nelson lo ha tolto dalla rotazione, mettendolo spesso nella "inactive list" e comunque regalandogli solamente saltuari minuti nel "garbage time". Ad aumentare la delusione di Beli e’ arrivata anche la mancata qualificazione alla postseason nonostante il record (48-34, che nella Eastern Conference sarebbe valso alla truppa di Nelson la quarta posizione) più che positivo.
"Naturalmente mi aspettavo qualcosa di più a partire da un minutaggio più consistente – dice Marco Belinelli – però l’anno da rookie è sempre particolare. Sono giovane e ho tanto tempo davanti, durante l’estate lavorerò per migliorare e per prepararmi al meglio per la prossima stagione". La transizione al basket americano e alla vita negli States poi non è facilissima. "Qui si gioca tantissimo – continua il bolognese – e praticamente non ci si allena mai. Bisogna trovare il modo di rimanere sempre concentrati anche quando non si trova grande spazio in campo. Io ho aspettato con pazienza il mio momento, quest’anno non è arrivato ma penso di aver dimostrato di essere un giocatore da Nba. Adesso voglio pensare al prossimo campionato".
Psicologicamente, soprattutto per un rookie europeo, non deve essere facile avere a che fare con un allenatore volubile e difficile da leggere come Don Nelson, il quale un giorno spreca complimenti a profusione per un giocatore per poi cambiare idea senza motivi apparenti il giorno dopo. "Don Nelson è sicuramente un personaggio – chiude diplomatico l’azzurro –, è uno degli allenatori più famosi della Nba. Alla fine credo abbia fatto bene, visto che la squadra è riuscita a vincere ben 48 gare, senza però riuscire ad arrivare ai playoff. Il nostro credo sia stato un rapporto normale". Meno "normale" però è stato l’utilizzo di Marco Belinelli, un giocatore che avrebbe sicuramente meritato più spazio. L’anno prossimo senza l’etichetta di rookie, che Nelson storicamente apprezza poco, l’azzurro probabilmente avrà molte più opportunità, l’importante sarà farsi trovare pronto a partire già dalla preseason.

Non e’ stato certo l’anno da rookie che Marco Belinelli si sarebbe aspettato. Dopo le belle parole spese dalla dirigenza dei Warriors dopo il draft e le grandi prestazioni alla Sumer League di Las Vegas, l’azzurro sembrava destinato a una stagione da protagonista. Lo stesso Nelson a settembre, poco prima dell’inizio della preseason, lo aveva definito "uno dei rookie più maturi che io abbia mai visto". Si parlava addirittura di una forte candidatura di Beli alla maglia di titolare lasciata libera da Jason Richardson, passato ai Bobcats.
Invece tutto e’ andato in modo decisamente diverso. Marco Belinelli ha avuto pochissime occasioni a novembre, in una squadra che peraltro ha trovato la sua quadratura solo dopo il rientro di Stephen Jackson. Ben presto Don Nelson lo ha tolto dalla rotazione, mettendolo spesso nella "inactive list" e comunque regalandogli solamente saltuari minuti nel "garbage time". Ad aumentare la delusione di Beli e’ arrivata anche la mancata qualificazione alla postseason nonostante il record (48-34, che nella Eastern Conference sarebbe valso alla truppa di Nelson la quarta posizione) più che positivo.
"Naturalmente mi aspettavo qualcosa di più a partire da un minutaggio più consistente – dice Marco Belinelli – però l’anno da rookie è sempre particolare. Sono giovane e ho tanto tempo davanti, durante l’estate lavorerò per migliorare e per prepararmi al meglio per la prossima stagione". La transizione al basket americano e alla vita negli States poi non è facilissima. "Qui si gioca tantissimo – continua il bolognese – e praticamente non ci si allena mai. Bisogna trovare il modo di rimanere sempre concentrati anche quando non si trova grande spazio in campo. Io ho aspettato con pazienza il mio momento, quest’anno non è arrivato ma penso di aver dimostrato di essere un giocatore da Nba. Adesso voglio pensare al prossimo campionato".
Psicologicamente, soprattutto per un rookie europeo, non deve essere facile avere a che fare con un allenatore volubile e difficile da leggere come Don Nelson, il quale un giorno spreca complimenti a profusione per un giocatore per poi cambiare idea senza motivi apparenti il giorno dopo. "Don Nelson è sicuramente un personaggio – chiude diplomatico l’azzurro –, è uno degli allenatori più famosi della Nba. Alla fine credo abbia fatto bene, visto che la squadra è riuscita a vincere ben 48 gare, senza però riuscire ad arrivare ai playoff. Il nostro credo sia stato un rapporto normale". Meno "normale" però è stato l’utilizzo di Marco Belinelli, un giocatore che avrebbe sicuramente meritato più spazio. L’anno prossimo senza l’etichetta di rookie, che Nelson storicamente apprezza poco, l’azzurro probabilmente avrà molte più opportunità, l’importante sarà farsi trovare pronto a partire già dalla preseason.
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