"Il vero basket è in Europa"
La stella dell'Armani Jeans si confessa a "GQ": " A me l'Nba non piace così tanto. E' soltanto uno contro uno, non c’è intelligenza tattica. Non sopporto l’arroganza di un Paese che è convinto di essere il numero uno in tutti i settori". Poi parla di suo padre: "Lui era il Materazzi dell'epoca, io sono Kakà"
Nell'attesa di conoscere quale sarà il suo futuro, se rimanere a Milano oppure uscire dal contratto per tentare la strada della Nba, Danilo Gallinari si racconta in un'intervista in edicola sul numero di marzo di "GQ".
Suo padre Vittorio vinse tutto con la grande Milano anni '80, lui per ora nulla . "Lui era il Materazzi dell’epoca, io sono Kakà. Secondo lui loro erano più bravi di noi. Balle. Avremmo vinto a mani basse. Il livello generale del basket oggi s’è innalzato di molto. Lo ripeto, perché ne sono convinto: la pallacanestro s’è talmente evoluta che la mia Armani Jeans batterebbe la Tracer di vent’anni fa. Comunque a mio padre do poche chance per criticarmi. Finora il nome Gallinari non mi è mai pesato, ma è chiaro che in una carriera italiana o europea non potrei mai nemmeno avvicinarmi a quello che ha vinto mio padre. Quindi, l’unico modo per togliermi soddisfazioni che lui non ha potuto prendersi ed evitare confronti è andare giocare in America. Ai suoi tempi puntare all’Nba era addirittura inimmaginabile".
In poco tempo è diventato un personaggio: "Questo interesse che improvvisamente mi sta gravitando attorno l’interpreto solo come una conseguenza delle mie qualità e perciò per ora mi gratifica e basta. Testimonia che qualcosa di buono lo sto combinando. Se non riuscirò a reggere l’urto psicologico, vorrà dire che non ho l’adeguata forza morale e, allora, meriterò il fallimento. E' una sorta di selezione della specie".
"Non poso per aprirmi un futuro in America: a me la Nba non piace neanche poi così tanto. Ma sì, il basket vero si gioca in Europa. Là è soltanto uno contro uno, non c’è furbizia, non c’è intelligenza tattica, zero schemi. Se salti di più arrivi prima, se salti di meno arrivi dopo. E siccome io non salto un c..., non arriverò mai". Se le cose continuano ad andar bene è un’eventualità che merita di essere ponderata per bene. Però vado in controtendenza e, sebbene sia il sogno di praticamente tutti i giocatori, io non subisco il fascino del basket Usa. E neppure quello degli Stati Uniti in sé: non sopporto l’arroganza di un Paese che è convinto di essere il numero uno in tutti i settori, quando invece è lampante che spesso il meglio è altrove. Non posso comunque ignorare che se qui si guadagna uno, là si guadagna dieci. Né che si vive una volta sola e certe occasioni si deve acchiapparle al volo”.
Suo padre Vittorio vinse tutto con la grande Milano anni '80, lui per ora nulla . "Lui era il Materazzi dell’epoca, io sono Kakà. Secondo lui loro erano più bravi di noi. Balle. Avremmo vinto a mani basse. Il livello generale del basket oggi s’è innalzato di molto. Lo ripeto, perché ne sono convinto: la pallacanestro s’è talmente evoluta che la mia Armani Jeans batterebbe la Tracer di vent’anni fa. Comunque a mio padre do poche chance per criticarmi. Finora il nome Gallinari non mi è mai pesato, ma è chiaro che in una carriera italiana o europea non potrei mai nemmeno avvicinarmi a quello che ha vinto mio padre. Quindi, l’unico modo per togliermi soddisfazioni che lui non ha potuto prendersi ed evitare confronti è andare giocare in America. Ai suoi tempi puntare all’Nba era addirittura inimmaginabile".
In poco tempo è diventato un personaggio: "Questo interesse che improvvisamente mi sta gravitando attorno l’interpreto solo come una conseguenza delle mie qualità e perciò per ora mi gratifica e basta. Testimonia che qualcosa di buono lo sto combinando. Se non riuscirò a reggere l’urto psicologico, vorrà dire che non ho l’adeguata forza morale e, allora, meriterò il fallimento. E' una sorta di selezione della specie".
"Non poso per aprirmi un futuro in America: a me la Nba non piace neanche poi così tanto. Ma sì, il basket vero si gioca in Europa. Là è soltanto uno contro uno, non c’è furbizia, non c’è intelligenza tattica, zero schemi. Se salti di più arrivi prima, se salti di meno arrivi dopo. E siccome io non salto un c..., non arriverò mai". Se le cose continuano ad andar bene è un’eventualità che merita di essere ponderata per bene. Però vado in controtendenza e, sebbene sia il sogno di praticamente tutti i giocatori, io non subisco il fascino del basket Usa. E neppure quello degli Stati Uniti in sé: non sopporto l’arroganza di un Paese che è convinto di essere il numero uno in tutti i settori, quando invece è lampante che spesso il meglio è altrove. Non posso comunque ignorare che se qui si guadagna uno, là si guadagna dieci. Né che si vive una volta sola e certe occasioni si deve acchiapparle al volo”.
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