Dan, i 46 anni di un eterno ragazzo del basket
Arriva a Pesaro come dirigente senza aver mai appeso le famose scarpe al famoso chiodo. E’ il giocatore “eterno”, Dan Gay, 46 anni il prossimo 20 luglio; l’uomo che non smette mai di giocare a basket, col suo fisico ancora integro e la voglia di continuare a fare a sportellate sotto canestro, almeno in allenamento, ma anche qualche minuto in partita, se possibile e se serve (e serve quasi sempre, alla faccia dell’età veneranda).
E’ arrivato a... ventimila minuti di presenza sui parquet italiani, in quasi un quarto di secolo di fedele e onorata militanza, con 7.630 punti segnati e una media nei... decenni di 11 punti e 9 rimbalzi a partita, col 63% complessivo al tiro. Temeva di essersi fermato a quota 799 partite italiane, l’anno scorso alla Climamio; gliene mancava solo una per il traguardo-record di 800 ma con Ataman era ormai fuori rosa. Ma ecco il “miracolo”: c’è la rivoluzione societaria alla Fortitudo, ed anche in panchina. Via Ataman, e Gay promosso nuovo coach, accolto dall’applauso dei compagni, che lo stimano e gli vogliono bene (e questa è una costante della sua lunghissima avventura italiana). Nella veste di allenatore (e insieme anche general manager) naturalmente si... mette a referto giusto per tagliare il platonico ma suggestivo traguardo e arrivare fino a quota 809 partite giocate.
Dopo l’università aveva cominciato in Olanda il lungo (2,07) che ha questo aggettivo (“tall”), a mo’ di prefisso, perfino nel nome della città natale (Tallahassee, Florida); per trasferirsi nel lontano ’84 in Italia, a Rieti, ed esordire il 9 ottobre di quello stesso anno.
Seguono una sfilza di stagioni da pivot: tre anni a Cantù, tre a Treviso, due a Pistoia (e siamo all’inizio degli anni Novanta), sette a Bologna sponda Effe fino alla fine del... secolo scorso e, dal Duemila, altre 6 a Cantù, per collaborare con coach Sacripanti nella veste di capitano, interprete, rappresentante della squadra, collante dello spogliatoio e incaricato all’ambientamento dei nuovi americani. Poi la chiamata bolognese come guida del settore giovanile (dove gioca il figlio Louis, 15enne) e in seguito, a sorpresa, anche della prima squadra.
In carriera ha vinto uno scudetto, una Coppa Italia e 2 supercoppe, oltre a una medaglia d’argento agli Europei del ’97 come giocatore (ormai “naturalizzato” avendo sposato un’italiana) della nazionale azzurra.
Al momento dell’ultimo commiato da Cantù, Sacripanti disse di lui: «Dan Gay non è uno a cui si debba spiegare il basket. Il suo incarico era di aiutare a preparare i giocatori durante la settimana. È rispettato dagli americani perché è uno di loro e dagli italiani per il carisma. Nessuno sa fare gruppo come lui». Lo stesso ruolo, e a fianco dello stesso allenatore, che svolgerà anche a Pesaro.
E’ arrivato a... ventimila minuti di presenza sui parquet italiani, in quasi un quarto di secolo di fedele e onorata militanza, con 7.630 punti segnati e una media nei... decenni di 11 punti e 9 rimbalzi a partita, col 63% complessivo al tiro. Temeva di essersi fermato a quota 799 partite italiane, l’anno scorso alla Climamio; gliene mancava solo una per il traguardo-record di 800 ma con Ataman era ormai fuori rosa. Ma ecco il “miracolo”: c’è la rivoluzione societaria alla Fortitudo, ed anche in panchina. Via Ataman, e Gay promosso nuovo coach, accolto dall’applauso dei compagni, che lo stimano e gli vogliono bene (e questa è una costante della sua lunghissima avventura italiana). Nella veste di allenatore (e insieme anche general manager) naturalmente si... mette a referto giusto per tagliare il platonico ma suggestivo traguardo e arrivare fino a quota 809 partite giocate.
Dopo l’università aveva cominciato in Olanda il lungo (2,07) che ha questo aggettivo (“tall”), a mo’ di prefisso, perfino nel nome della città natale (Tallahassee, Florida); per trasferirsi nel lontano ’84 in Italia, a Rieti, ed esordire il 9 ottobre di quello stesso anno.
Seguono una sfilza di stagioni da pivot: tre anni a Cantù, tre a Treviso, due a Pistoia (e siamo all’inizio degli anni Novanta), sette a Bologna sponda Effe fino alla fine del... secolo scorso e, dal Duemila, altre 6 a Cantù, per collaborare con coach Sacripanti nella veste di capitano, interprete, rappresentante della squadra, collante dello spogliatoio e incaricato all’ambientamento dei nuovi americani. Poi la chiamata bolognese come guida del settore giovanile (dove gioca il figlio Louis, 15enne) e in seguito, a sorpresa, anche della prima squadra.
In carriera ha vinto uno scudetto, una Coppa Italia e 2 supercoppe, oltre a una medaglia d’argento agli Europei del ’97 come giocatore (ormai “naturalizzato” avendo sposato un’italiana) della nazionale azzurra.
Al momento dell’ultimo commiato da Cantù, Sacripanti disse di lui: «Dan Gay non è uno a cui si debba spiegare il basket. Il suo incarico era di aiutare a preparare i giocatori durante la settimana. È rispettato dagli americani perché è uno di loro e dagli italiani per il carisma. Nessuno sa fare gruppo come lui». Lo stesso ruolo, e a fianco dello stesso allenatore, che svolgerà anche a Pesaro.
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