Intervista ad Andrea Mazzon

L'Eurolega lo riporta a Napoli, che ha lasciato nel 2004 dopo averla condotta nelle prime due stagioni in Serie A dell'era Maione, centrando risultati importanti come la qualificazione alla Final Eight di Coppa Italia e quella alla ULEB Cup.
È l'allenatore dell'Aris dall'inverno scorso, quando a fine dicembre 2005 subentra ad Elias Zouros, e conduce la squadra alla finale di ULEB Cup e qualificandola all'Eurolega.
Dopo 14 anni l'Aris è tornato in Eurolega: come è iniziata questa avventura per la tua squadra?
Un inizio difficile contro Fenerbahce e CSKA, ma stiamo lavorando come squadra nella giusta direzione e abbiamo diverse assenze.
A Mosca hai parlato di ricostruire il mito dell'Aris, così come ha fatto il CSKA. Sei ottimista per questo?
Abbiamo il potenziale per rifondare la squadra, ed il CSKA è un esempio per noi. Dobbiamo capire cosa abbiamo da perdere prima di vincere. Il CSKA ha perso tre titoli di Eurolega prima di vincere quello scorso. Adesso, penso che abbiamo la struttura ed i tifosi per costruire l'Aris con pazienza e senza troppa emotività. Voglio dire che non possiamo esaltarci quando vinciamo e deprimerci se perdiamo. L'equilibrio è necessario per lavorare a qualcosa di interessante.
Qual'è l'obiettivo della squadra in campionato e in Eurolega?
Con 4-1 in campionato e 1-1 in Eurolega possiamo dire di aver lavorato bene, cercando di trovare la giusta chimica. Onestamente, non abbiamo lavorato molto insieme in precampionato a causa delle assenze, non è semplice trovare dei problemi specifici. Comunque sono molto ottimista per questa squadra. Quando recupereremo tutti i giocatori potremo lottare per grandi obiettivi.
La terza giornata di Eurolega ti fa ritornare a Napoli, la tua ultima squadra italiana. Cosa significa questa città per te?
È strano parlare di Napoli. So che c'è una situazione difficile legata alla criminalità, ho sentito addirittura parlare di esercito, i giocatori americani mi hanno chiesto che succede perchè anche su USA Today hanno scritto di questo. Ma gli ho detto di non preoccuparsi, perchè Napoli è un posto stupendo anche se c'è grande disorganizzazione, ed è il problema principale. Personalmente sono stato bene lì! Ci ho passato tre anni ed ho conosciuto belle persone. Penso che io e alcuni altri membri della comunità abbiamo aiutato a ricostruire la squadra e portarla in Eurolega. Ho scelto alcuni dei giocatori che adesso sono lì, come Spinelli, Morena, Cittadini e Rocca, ed è bello vederli giocare a così alto livello, perchè lo meritano.
La partita con Napoli è cruciale per la qualificazione. Cosa pensi riguardo a questo?
Giocare al PalaBarbuto è come farlo al Palais Des Sports. Il fattore campo sarà la loro forza maggiore in Eurolega. Sarà una partita dura, ma un altro passo verso la qualificazione e dobbiamo combattere per vincere.
Parliamo del campionato italiano: pensi che sia superiore a quello greco?
Adesso no. La lega spagnola supera tutte, poi c'è la Grecia, mentre l'Italia lotta con la Francia per la terza posizione.
L'Aris fa parte dell'elite europea. Cosa pensi delle quattro formazioni italiane?
Intanto, le cose sembrano molto difficili per la Climamio. La squadra sembra un pò strana: finora ho letto tante dichiarazioni sul coach e i giocatori, e non so che risultati questo possa portare. Roma non ha trovato la chimica ed ha firmato troppi lunghi. La Benetton ha tanta esperienza con giocatori come Mordente, Soragna o Goree, che conosce il gioco ad altissimo livello. D'altro canto, Napoli ha il potenziale per vincere lo scudetto. Hanno un talento incredibile e lotteranno fino alla fine per superare il turno.
La Federazione italiana ha autorizzato l'ingaggio di sei stranieri: è una minaccia per il futuro dei giocatori azzurri?
Il problema principale della Lega è che dall'avvento del professionismo nel 1994, i giocator non "appartenevano" più alle loro società. Liberi tutti dai 18 anni in poi. Nessuno poteva spendere 3 o 4 milioni di euro per comprare giocatori. La Federazione avrebbe dovuto capire che il basket è un business. I giocatori devono appartenere alle società fino ai 24 anni. Ogni club può farli migliorare e poi cederli per assicurarsi la propria sopravvivenza. Verona, la mia ex squadra, è andata avanti così con le partenze di Galanda, Bonora e Frosini. Oggi, si va nella direzione sbagliata! Le squadre scelgono di non spendere soldi e firmare americani non eccelsi a 100 o 150 mila euro piuttosto che investire sui prodotti dei settori giovanili ed occuparsi dei ragazzi in periodi complessi come quelli a cavallo tra la maturità e gli anni universitari.
Però intanto, l'Italia ha finalmente il suo uomo in NBA, Andrea Bargnani. Significa che ci saranno altri come lui che andranno negli States?
Credo che Bargnani sia un caso a parte. È uno toccato dalla grazia divina, questo non significa che ci sarà un'era italiana della NBA. Ci sono tanti ottimi giocatori in club come Montegranaro che possono giocare ad alto livello, ma penso che non abbiamo così tanto talento e credo che non lavoriamo per svilupparlo. La categoria degli allenatori non è rispettata: ricordo Ettore Messina a Bologna, Sergio Scariolo a Pesaro ed io a Verona abbiamo avuto l'opportunità di costruire dei programmi giovanili, cosa che ha permesso la nascita di grandi giocatori. Adesso, visto che poi non apparterranno più alla società, nessuno fa caso alla crescita dei giovani.
Personalmente, com'è la tua vita a Salonicco come allenatore dell'Aris?
È davvero positivo per me avere un'esperienza come questa. Dopo aver lavorato in Italia e ad Atene, grazie a Dio ho avuto l'opportunità di viaggiare in diversi paesi e capire come la gente si rapporta al basket. Inoltre, gli allenatori greci sono molto validi e posso imparare tante cose ogni giorno. Lavorare in Grecia mi aiuta come allenatore, osservando tanti nuovi giocatori e incrementando la mia cultura cestistica. In più, vivere in un altro Paese mi da la possibilità di interagire con altre culture, di imparare altre lingue (come il greco l'anno scorso). Ogni squadra ed ogni lavori è una possibilità di apprendere.
In tutta Europa si parla dei tifosi dell'Aris. Vivi con loro ogni giorno, dicci cos'hanno di particolare.
Il logo dell'Eurolega, “DEVOTION”, si direbbe perfetto per i nostri tifosi! Credo che non ci sia un pubblico del genere altrove. Ho disputato tante competizioni nella mia carriera ma non ho mau avuto nulla del genere. Penso che a volte impazziscano per la loro squadra ed il basket, e io adoro questo. La sola cosa in cui devono migliorare è capire di non negativizzare troppo dopo una sconfitta, non è la fine del mondo. Parlando in generale, credo che questo rispecchi la nostra vita del 21° secolo, dove bisogna essere veloci, efficienti e perfetti ogni giorno. Tutti amano i successi, ma il basket è qualcosa di più filosofico.
Coach, tu hai detto di non sentire pressione. Come può accadere questo sulla panchina dell'Aris?
Nello sport, non c'è pressione. Io mi ritengo una persona fortunata, faccio quello che amo e mi pagano tanto per continuare a farlo. La vera pressione ce l'hanno quelle persone che lavorano ogni giorno per 600 euro al mese per provvedere ai loro figli. Questi sono gli eroi, non noi. Personalmente, la mia unica pressione arriva dalla famiglia. Quando per esempio qualcuno sta male, perchè ci sono cose più importanti del basket. La pressione come allenatore me la metto da solo. Voglio vincere sempre, e quando non lo faccio mi sento in colpa per tutto, anche se ci possono essere tanti fattori, come gli infortuni, a decidere le sorti
di una partita.
C'è qualcosa che manca ad Andrea Mazzon di casa sua?
Onestamente, non mi manca nulla. Adesso l'Italia sta dando una brutta immagine di se all'estero, e queste sono cose a cui fai più attenzione vivendo oltre i confini nazionali. Sono davvero deluso perchè si parla di un'Italia in calo ogni giorno di più, mentre altri paesi come Spagna e Grecia ci supereranno molto presto. Quello che mi manca veramente è la mia casa! Ho lavorato duro per costruirla, e l'adoro perchè è nel mezzo del nulla, a Venezia. Mi manca non poter passeggiare la sera nella mia città, che è la cosa che più amo fare. Fortunatamente posso andare a camminare la sera a Thermaikos, sul mare. Non è lo stesso, ma sto molto bene a Salonicco.
Per finire, c'è un motto nella tua vita personale e professionale?
Adesso ce n'è uno e lo condivido negli spogliatoi spesso. "Duro non è abbastanza", cioè dare il massimo può non bastare. Nella vita, nel lavoro, nel basket si prova sempre a dare il massimo possibile. A farlo anche oltre i propri limiti.
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