Follia NBA: Arbitri duri, stelle in rivolta

Forse sono diventati più indisciplinati, nevrotici. Loro, i giganti della Nba, dicono che la colpa è degli arbitri, quei permalosi che da un gesto in su mettono mano al fischietto e implacabili li puniscono. Restano però i numeri, e soprattutto i punti di sutura. L’ultimo frammento del delirio collettivo risale all’altra notte. San Antonio Spurs contro Sacramento Kings si è giocata più in infermeria che sul parquet: botte da orbi e tre giocatori finiti anzitempo a leccarsi, anzi, suturarsi le ferite. Ha vinto San Antonio, su tutta la linea. Sul campo 108 a 101, in ambulatorio nove a sette: Brent Barry si è aggiudicato il duello con Ronnie Price ai punti (di sutura), dopo uno scontro in mezzo al campo. Come non bastasse, gli arbitri sono rientrati negli spogliatoi scortati dalla security.
Nervosismo alle stelle. Le statistiche confermano. Nelle prime 51 partite della stagione sono stati fischiati 122 falli tecnici. Lo scorso anno, a questo punto, si era fermi a 66. La metà, all’incirca. La chiamano «tolleranza zero». Quest’estate David Stern, il patron del basket americano, ha detto basta. La Nba si stava trasformando - a suo dire - in una gazzarra, rissa permanente tra omoni isterici e arbitri suscettibili. Ha dato istruzioni precise. «Da ottobre non si perdona: ogni atteggiamento sopra le righe andrà punito con il fallo tecnico. Basta scenate». I fischietti l’hanno preso in parola. Falli tecnici distribuiti a pioggia, espulsioni (sette addirittura, lo scorso anno a questo punto della stagione si era fermi a una soltanto).
Alla prima palla a due della stagione, è cominciata la caccia al «cattivo». E nella morsa degli arbitri sono finiti quasi tutti, a cominciare dalle star. Rasheed Wallace ha aperto le danze, ma questa non è una novità. Il buon «Sheed» è un incallito peccatore, sberleffi ad arbitri e avversari da sempre fanno parte del suo repertorio sconfinato. Né è da meno Mike Bibby, la guardia di Sacramento. La sua prima uscita stagionale, contro i Minnesota Timberwolves, è finita anzitempo: due falli tecnici a carico, espulsione e squalifica. Non si sono salvati neppure Carmelo Anthony e due ragazzi dalle buone maniere come Dwayne Wade e Kobe Bryant. Per non parlare di Tim Duncan, con quella faccia da bambino. Punito anche lui, per aver gesticolato con foga dopo una chiamata dubbia.
Già, oggi in Nba si finisce dietro la lavagna per una reazione innocente. E puntuale arriva la multa. I «guru» del basket a stelle e strisce hanno messo a punto un tariffario: mille dollari per le prime cinque intemperanze. Poi si sale: 1500 fino a quindici, e poi 2500. Cifre che le stelle del basket dovrebbero liquidare con un’alzata di spalle. Invece non l’hanno presa bene. Minacciano un’azione legale contro l’«Association». Di questo passo gli avvocati faranno la loro comparsa. Ma i protagonisti dicono di non divertirsi più. Dalla loro parte si schierano i grandi del passato. «Come si fa a tenere sotto controllo le emozioni quando sei in campo e la sola cosa cui pensi è vincere? Troppi arbitri hanno l’udito fino e l’ego sviluppato». Parola di Kareem Abdul-Jabbar, icona dei Los Angeles Lakers negli Anni ‘80. Già, in campo a volte si combina di tutto. Ma la «tolleranza zero» sta facendo saltare i nervi a molti giocatori. Non hanno torto, e non solo perché in campo non gli viene perdonato nulla. È che pagano anche colpe altrui. A nessuno è sfuggito il legame tra il programma «tolleranza zero» e il «caso Cuban». Mark Cuban, magnate dei Dallas Mavericks. Nella scorsa stagione ha foraggiato l’ Nba con due milioni di dollari. Tutte multe, dodici, blitz corsari in campo durante le gare a suon di insulti e proteste agli arbitri. Per arginare Cuban e i suoi epigoni è allo studio un codice di comportamento per i «patron». Per chi va in campo e dà spettacolo, invece, la mannaia è scattata in un amen.
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