Tre lombarde in quattro giorni

Poca filosofia del campo e tanta filosofia del bar dello sport. Raccontiamo quel che abbiamo visto, cioè le tre lombarde. Milano, Varese e Cantù, in stretto ordine cronologico, negli ultimi quattro giorni. Trofeo Dream Team, Trofeo Marc’Ambrogio (che si chiama così perché - riportata dagli spalti — gli unici due paganti erano Marco e Ambrogio), e poi Cantù con il Khimki. Ah, già… c’era anche Roma tra le italiane. Quale Roma? Quella che si è vista con un Repesa tendenzialmente preoccupato (ha preso a calci la lavagnetta che è finita in terza fila al Lido colpendo uno tra Marco e Ambrogio, giuro!), un Saibene silenzioso e un Brunamonti ansioso. E un Moiso in partenza e gli altri fuori posto e fuori forma. Prepariamoci a vedere la Lottomatica contro Phoenix, anche ci sarà poco da vedere, in effetti. Mi sarebbe personalmente piaciuto vedere un’altra Roma, non questo cantiere aperto dove mancano parecchi mattoni (quello rotto lo buttano, ne prendono un altro subito, uno a Natale e magari uno prima dei playoff come fa sempre mastro Repesa?). A proposito, che fine ha fatto Sconochini? Ah, non vi eravate accorti che mancava?
Comunque torniamo alle squadre lombarde… Milano? Detto che le squadre si giudicano dopo aver visto delle partite vere, ci sono state più sconfitte che vittorie nella prestagione biancorossa, peraltro cominciata con un certo anticipo rispetto alla prestagione di altri incontrati tornei facendo. Insomma, non scendiamo nei particolari di Watson insieme a Blair (quando si è infortunato cadendo male sul parquet le male lingue già speravano nel sostituto) o di Calabria da specialista: ogni valutazione ad oggi sarebbe solo una questione di gusto e interpretazione soggettiva ma questa è una squadra costruita consapevolmente senza go-to-guy, dove lo spirito del gruppo e la dedizione al gruppo dovrebbero prevalere. Eppure oggi come oggi, sull’80 pari a 20” dalla fine, Djordjevic e Garris a chi danno la palla dell’ultimo tiro? Temo proprio che la diano a Danilo Gallinari. Sarei felice se fossi Tanjevic, sarei felice se fossi il padre di Gallinari, anche se fossi proprio Danilo Gallinari ma diciamo che non è proprio l’ideale per una squadra che punta al titolo. Non sono sicuro che lo scorso anno, sull’80 pari al PalaVerde, la palla sarebbe finita nelle mani di Bargnani. Anzi. Insomma, fino ad ora non s’è visto niente di bello a Milano, niente che lasci la speranza di divertirsi più della scorsa stagione, anche se si vincerà di più e non verrà tagliato l’allenatore. E le maglie, diciamocelo, sono tra le più brutte della storia, perfino più brutte di quelle dello scorso anno, soprattutto nella livrea rossa. Varese? Ecco, portato a casa il Trofeo Dream Team lo scorso weekend ha vinto tutto quello che c’era da vincere nella stagione: ciò non toglie che possa andare meglio della scorsa. Insomma, Zio Galanda MVP vi dà la misura dello stato di salute della squadra che ha bisogno della sua presenza come il pane. Peraltro i pugnetti mostrati ai belgradesi in una mezza rissa in finale, lo scorso anno a Milano non si erano mai visti. Se la guerra per il buon senso e per il libero arbitrio in campo è già cominciata tra Don Magnano e il nuovo playmaker Billy Keys, tra poco comincerà anche quella con Holland, sì, quello che era a Teramo. Keith Carter conta e si fa sentire anche se non è un campione, Howell conta ma non si fa sentire ma i tifosi varesini non sono come i fighetti milanesi e si accontentano di poco e sono felici. E vanno in tanti al palazzo. Cantù? Sacripanti dice che sono indietro con la preparazione e non ne dubitiamo. Quando vedi Eric Williams palleggiare durante il riscaldamento ti metti a ridere e pensi che tuo nipote al minibasket faccia meglio ma poi ti ricredi perché è uno che ha voglia, si sbatte nonostante tutto e ha perfino schiacciato sulla faccia di Podkolzine (che ha smesso di crescere in altezza ma non il larghezza. Ora siamo sui 160 chili). Williams, ragazzone rasta (che alla tavolata al ristorante, seduto di fianco alla moglie, si mette le cuffie dell’i-pod e canticchia), sta in campo anche con Casey Shaw quando Pino crede nei due centri. Non malissimo Michael Jordan (l’altro play, il mezzo irlandese McGrath, vale un qualunque play di B1 ma costa di meno), bene Mazzarino, malino Phil Jones e non giudicabili i due neri Wilson e Smith, tenuti poco in campo e dati per dispersi per tutta la partita. La sensazione è che, a scommesse vinte, Cantù non potrà fare molto meglio dello scorso anno.Note a margine: bella cena organizzata dagli organizzatori desiani (ristorante “Il Torello Fresco”, credeteci a no) che hanno fatto provare il risotto alla milanese a quelli del Khimki. Pavel indossava pantaloni arancioni di ciniglia larghi e molli come fosse un rapper del Bronx e una maglietta bianca con la stampa rossa di pozzi di petrolio stilizzati. Le parole non rendono l’immagine. Tre tavolate lunghe e parallele: all’estrema destra Cantù e tutti i suoi americani parenti compresi, in mezzo gli italiani ospitanti e i russi dall’altra parte. Sembrava di essere ancora ai tempi della guerra fredda. Show del Poz a tavola, che prima aveva trovato modo di rimanere sui blocchi di 3/4000 donne fuori dal palazzetto, una a una. A proposito… ha vinto il Khimki.
Comunque torniamo alle squadre lombarde… Milano? Detto che le squadre si giudicano dopo aver visto delle partite vere, ci sono state più sconfitte che vittorie nella prestagione biancorossa, peraltro cominciata con un certo anticipo rispetto alla prestagione di altri incontrati tornei facendo. Insomma, non scendiamo nei particolari di Watson insieme a Blair (quando si è infortunato cadendo male sul parquet le male lingue già speravano nel sostituto) o di Calabria da specialista: ogni valutazione ad oggi sarebbe solo una questione di gusto e interpretazione soggettiva ma questa è una squadra costruita consapevolmente senza go-to-guy, dove lo spirito del gruppo e la dedizione al gruppo dovrebbero prevalere. Eppure oggi come oggi, sull’80 pari a 20” dalla fine, Djordjevic e Garris a chi danno la palla dell’ultimo tiro? Temo proprio che la diano a Danilo Gallinari. Sarei felice se fossi Tanjevic, sarei felice se fossi il padre di Gallinari, anche se fossi proprio Danilo Gallinari ma diciamo che non è proprio l’ideale per una squadra che punta al titolo. Non sono sicuro che lo scorso anno, sull’80 pari al PalaVerde, la palla sarebbe finita nelle mani di Bargnani. Anzi. Insomma, fino ad ora non s’è visto niente di bello a Milano, niente che lasci la speranza di divertirsi più della scorsa stagione, anche se si vincerà di più e non verrà tagliato l’allenatore. E le maglie, diciamocelo, sono tra le più brutte della storia, perfino più brutte di quelle dello scorso anno, soprattutto nella livrea rossa. Varese? Ecco, portato a casa il Trofeo Dream Team lo scorso weekend ha vinto tutto quello che c’era da vincere nella stagione: ciò non toglie che possa andare meglio della scorsa. Insomma, Zio Galanda MVP vi dà la misura dello stato di salute della squadra che ha bisogno della sua presenza come il pane. Peraltro i pugnetti mostrati ai belgradesi in una mezza rissa in finale, lo scorso anno a Milano non si erano mai visti. Se la guerra per il buon senso e per il libero arbitrio in campo è già cominciata tra Don Magnano e il nuovo playmaker Billy Keys, tra poco comincerà anche quella con Holland, sì, quello che era a Teramo. Keith Carter conta e si fa sentire anche se non è un campione, Howell conta ma non si fa sentire ma i tifosi varesini non sono come i fighetti milanesi e si accontentano di poco e sono felici. E vanno in tanti al palazzo. Cantù? Sacripanti dice che sono indietro con la preparazione e non ne dubitiamo. Quando vedi Eric Williams palleggiare durante il riscaldamento ti metti a ridere e pensi che tuo nipote al minibasket faccia meglio ma poi ti ricredi perché è uno che ha voglia, si sbatte nonostante tutto e ha perfino schiacciato sulla faccia di Podkolzine (che ha smesso di crescere in altezza ma non il larghezza. Ora siamo sui 160 chili). Williams, ragazzone rasta (che alla tavolata al ristorante, seduto di fianco alla moglie, si mette le cuffie dell’i-pod e canticchia), sta in campo anche con Casey Shaw quando Pino crede nei due centri. Non malissimo Michael Jordan (l’altro play, il mezzo irlandese McGrath, vale un qualunque play di B1 ma costa di meno), bene Mazzarino, malino Phil Jones e non giudicabili i due neri Wilson e Smith, tenuti poco in campo e dati per dispersi per tutta la partita. La sensazione è che, a scommesse vinte, Cantù non potrà fare molto meglio dello scorso anno.Note a margine: bella cena organizzata dagli organizzatori desiani (ristorante “Il Torello Fresco”, credeteci a no) che hanno fatto provare il risotto alla milanese a quelli del Khimki. Pavel indossava pantaloni arancioni di ciniglia larghi e molli come fosse un rapper del Bronx e una maglietta bianca con la stampa rossa di pozzi di petrolio stilizzati. Le parole non rendono l’immagine. Tre tavolate lunghe e parallele: all’estrema destra Cantù e tutti i suoi americani parenti compresi, in mezzo gli italiani ospitanti e i russi dall’altra parte. Sembrava di essere ancora ai tempi della guerra fredda. Show del Poz a tavola, che prima aveva trovato modo di rimanere sui blocchi di 3/4000 donne fuori dal palazzetto, una a una. A proposito… ha vinto il Khimki.
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