Messina, il re d'Europa

Dalla Gazzetta dello Sport del 12/10/06
Dopo un'eccellente carriera dalla Virtus Bologna al Grande Slam con il Cska Mosca, il più famoso allenatore italiano si racconta: "Io coach nell'Nba? Non credo che mi ascolterebbero"

Aveva 29 anni Ettore Messina quel giorno di agosto del 1989 in cui la Virtus Bologna, di fronte al rifiuto di Bob Hill di onorare il contratto per la stagione alle porte, lo nominò capo-allenatore. Era un’epoca diversa, anzi sarebbe stato l’inizio di un’epoca, quella dei cosiddetti giovani rampanti – quasi in contemporanea infatti Pesaro affidava la panchina al 29enne Sergio Scariolo – che avrebbero traghettato il basket italiano dall’era dei Peterson, Gamba e Taurisano a quella attuale del basket globalizzato.
La scelta di Messina poteva sembrare un azzardo, come anni prima lo erano stati nel 1973 la chiamata di Dan Peterson che allenava il Cile o la nomina nel 1978 di Terry Driscoll appena appese le scarpette al chiodo. Come nei casi precedenti l’azzardo pagò ricchi dividendi: prima stagione e subito conquista della coppa Italia e della coppa delle Coppe, primo trofeo internazionale finito nella bacheca Virtus.
Nel 1993, con uno scudetto e un’altra coppa Italia all’attivo, la chiamata della Nazionale che lo vedrà d’argento all’Europeo di Spagna del 1997. Lasciato l’azzurro, torna a Bologna: subito la doppietta scudetto-Eurolega e, tra un successo e l’altro, nel 2001 arriva il Grande Slam, impresa riuscita per ultima a Milano nel 1987.
Sono gli anni della trasformazione: Ettore non è più un ragazzino, ma è diventato un tecnico affermato che alla preparazione esasperata della squadra unisce una buona dose di psicologia per gestire un gruppo ricco di stelle dal futuro Nba: Ginoboli, Nesterovic e Jaric tra gli altri. Le sue doti di leadership lo portano addirittura in cattedra per dare lezione ai giovani manager dell’Università Bocconi di Milano.
Dopo il non indolore divorzio da Bologna, primo sintomo di una crisi che portò al fallimento della Virtus, arriva l’esperienza di Treviso dove c’era da far scordare Mike D’Antoni. Poteva sembrare un ridimensionamento, un club di alto profilo ma con un budget lontano dai top team europei. Eppure la sfida era intrigante e l’ambiente, unito allo stile Benetton, lo accolse alla grande venendo ricompensato da uno scudetto, tre coppe Italia e un secondo posto in Eurolega.
Nel 2005 il grande passo: la chiamata verso Mosca a gestire un club dalle risorse immense, ma finora a secco di gloria europea. Detto fatto: al primo colpo è subito Grande Slam e ora ci si chiede quanto debba passare prima che la Nba lo chiami per essere il primo coach non statunitense della storia.
Maurizio Gherardini dice che Messina è già un allenatore da Nba, Jerry West rilancia dicendo che il suo Cska sarebbe da playoff nella Eastern Conference. In più Ettore vanta un’esperienza da capo allenatore dei Denver Nuggets alla Summer League del 2003, oltre a essere padrone di una manciata di lingue.
Eppure lui pensa che non avrà la chance di attraversare l’oceano: “Secondo me non accadrà, ma mi fa piacere che se ne parli. Il mondo Nba è chiuso, protettivo. Sono 3-4 anni che perdono con la nazionale e non hanno mai chiesto a un europeo di aiutarli. A maggior ragione in Nba dove è fondamentale l’aspetto delle relazioni, dove la maggior parte dei giocatori fatica a ascoltare un Larry Brown, non sarebbe plausibile pensare che ascoltino un italiano”.
Avrà anche vinto tutto, ma questa volta siamo convinti che Messina sarà smentito dai fatti: forse non sarà vero che il successore di Sam Mitchell a Toronto sarà uno tra lui e Marc Iavaroni, vice di D’Antoni a Phoenix, ma di certo arriverà presto la chiamata di una squadra americana perché chi vince fa più affari e ai 30 proprietari Nba non c’è nulla che piaccia più che vincere e fare profitti. Anche a costo di costringere le loro stelle ad ascoltare un omino italiano che sverna all’ombra del Cremlino.

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