La lezione di Tracuzzi a vent'anni dalla morte

Sono trascorsi vent'anni dalla scomparsa di Vittorio Tracuzzi, il "mitico" allenatore della Nazionale di pallacanestro e di tante gloriose squadre di club (Virtus Bologna, Varese, Cantù ma anche Viola Reggio Calabria e Cestistica Messina) morto il 21 ottobre del 1986 al Centro traumatologico dell'ospedale "Rizzoli" di Bologna a seguito di un intervento alla colonna vertebrale per i postumi di un incidente automobilistico. Un uomo che ha cambiato il volto di questo sport nel nostro Paese e che per questo viene ancora ricordato con commozione dall'intero movimento.
Nato nel gennaio del 1923 a San Filippo del Mela, in provincia di Messina e dopo aver giocato a Roma sotto Giancarlo Primo, "il professore" – soprannome che certo non gli dispiaceva e che rende giustizia alla sua straordinaria preparazione – diventò a soli 29 anni allenatore della Nazionale nella quale aveva giocato 48 gare, partecipando alle Olimpiadi del 1948. Guidò gli azzurri anche agli Europei del '59, poi tornò ad allenare le squadre di club consolidando la sua reputazione di miglior allenatore d'Europa insieme ad Asa Nikolic. Sulla panchina dell'Ignis Varese vinse due scudetti, rompendo l'egemonia del Simmenthal Milano di Cesare Rubini, e la prima edizione della Coppa delle Coppe nel 1967.
Ma la straordinaria lezione di Vittorio Tracuzzi può essere condensata in due aspetti: l'incredibile modernità della sua visione del basket (quante volte abbiamo sentito dire che era venti o trent'anni avanti!) e il suo amore per l'insegnamento, per i giovani il cui entusiasmo e la cui voglia di apprendere valevano per il "professore" più della vittoria di una Coppa dei Campioni. Tanto che, pur schivo e poco propenso ad apparire, divenne ugualmente un personaggio. Un grande.

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