"Nikeal" Jordan a Milano, per tutti quelli che non l’hanno visto...
Mi dicono ci fossero perfino un paio di pullman in arrivo da Bari per vedere Nikeal.
Sì, Nikeal: pronunciatelo “Naikol”, ovviamente…
Una volta esisteva l’uomo immagine, poi il testimonial.
Nikeal Jordan è l’azienda stessa. Io lo proporrei al Signor Nike… se Jordan è un brand di Nike con la sua linea di abbigliamento, allora perché Nike non dovrebbe diventare il brand di Jordan stesso?
Secondo me, se la richiesta viene formulata nei modi e nelle cifre corretti, Mike accetta senza troppi problemi di cambiare appena grafìa e pronuncia del proprio nome per renderlo ancora più consono, coerente e vicino all’azienda.
Se io fossi il Signor Nike gli chiederei anche di dimagrire un po’ perché molti non l’hanno mica riconosciuto. Va bene lasciare il basket, va bene ritirarsi, ma ingrassare così non è accettabile per l’immagine del marchio. E dicono che il golf fa bene…
Poi quella tuta di ciniglia dal colore improbabile: nemmeno Podkolzine l’avrebbe indossata per andare a raccogliere i funghi e lui se l’è messa per raccogliere il saluto dei 3500 (ce n’erano altri fuori?) del PalaLido a Milano.
Aveva anche la felpa legata in vita: mi ha ricordato tanto il mio prof di ginnastica del liceo il quale – con piglio e livore degni del miglior Trentennio - affermava con rigore che solo le fighette si legano il maglioncino sul pancino.
Ma tant’è…
Molti non sono riusciti a vederlo ma moltissimi di quelli che l’hanno visto al Lido non l’avevano mai visto prima! Perdonate per non aver resistito al kalembour ma è un dato di fatto che l’età media dello spettatore andasse dai 15 agli 11 anni.
Lo stesso Niccolò Melli, MVP della partitella, 15enne di Reggio Emilia e nostro nuovo idolo (una vera e sincera lingua lunga), lo ha detto: “Jordan? Beh, io l’ho visto solo in DVD. Sì, mio padre ha tenuto qualche cassetta delle sue partite”.
Nikeal Jordan ormai è un fumetto, un videogioco, un eroe virtuale la cui realtà sta nei libri di statistiche, venduto e vendibile anche a chi non l’ha mai visto, a chi è troppo giovane per averlo amato perché vinceva sempre (o per averlo odiato perché vinceva sempre).
Perché quando era Michael vinceva sempre, che lo facesse da solo, o di squadra, vinceva sempre. Ma non è questo il punto oggi…
Sono i pro (?) e i contro (!) dell’essere una multinazionale.
Jordan arriva in ritardo, come le prime donne, nonostante uno “dayly-program-schedule” redatto ogni 30 secondi: poche domande in conferenza stampa, preventivamente concordate e selezionate.
A Barcellona l’altro giorno, dopo una domanda sull’Iraq e una su Bush, se n’è andato. Lo sport, del resto, è sempre sport.
E appena entra nella palestra del Lido è il boato: Jordan si fa fotografare, elargisce premi ai vincitori, suscita gridolini di ammirazione dai ragazzini quanto una rockstar li suscita dalle ragazzine, ma non palleggia, non tira a canestro, tantomeno schiaccia, non elargisce magliette né gadget, non fa un giro del parquet per salutare i convenuti ma fa bastare la sua sola presenza e saluta una tantum con la manina come il Papa.
Brutta parentesi è stata quella in cui uno della scorta ha placcato una sedia a rotelle evidentemente sfuggita ai controlli. Tutto è finito in una bordata di fischi e Michael non ha dato al doppiamente malcapitato nemmeno un cinque. Il Papa magari lo avrebbe salutato.
Ma questo basta per il mito. E per la multinazionale.
è il potere dei soldi gli americani vengono in europa per i soldi non per esportare il basket anche perchè siamo più forti noi!!!!!Ho visto quelli dell'and1 mix tape e mi sono bastati, basta esibizioni con giocatori americani.
RispondiElimina