Non Fermiamoci "Ancora"

da Basketground del 16/09/06
Finestre sul mondo: They use to call it Ubris...
Ognuno di noi possiede ricordi di gioventù che, chissà perché questi e non altri, gli si sono impressi nella mente e vengono di tanto in tanto richiamati alla memoria, limpidi come fosse ieri.
Se vi interessa saperlo, per me uno di questi è una lezione di greco in terza liceo sulla “ubris”, un affascinante concetto ideale su cui - per forza di cose - è cresciuta la cultura occidentale.
La ubris, in greco antico ma forse anche moderno, è la tracotanza, la superbia, la presunzione di superiorità, l’arroganza praticata e con non celata soddisfazione. Un tratto della vita che incontriamo quotidianamente, se siamo fortunati solo al semaforo o in ufficio.
Ulisse sfidava gli dei perché pensava di essere più figo di loro, i Persiani sfidavano i Greci convinti di mangiargli in testa in qualsiasi battaglia navale al largo di Salamina ma c’era anche il ricco e volgare mercante che se la prendeva con il poveraccio.
La Ubris, prima o poi, si vendicava e tornava a far capire come funzionano le cose da queste parti.
L’eccesso di “potere”, se non autogestito e non messo al servizio del prossimo, secondo l’inconscio e il sentimento istintivo dei primordi della cultura occidentale, era un male e andava punito. Con venti anni di dolore, con la distruzione della flotta militare più potente della storia, con le massime sofferenze per il resto della vita. Oppure con un 101-95 che più umiliante non potrebbe essere (credeteci o no, ho trovato la parola “ubris” anche su un paio di articoli dello Houston Cronicles!).
Adesso… è vero che oggi spesso ci sembra che la Ubrissia in vacanza su qualche isola delle Cicladi e che molte ingiustizie non vengano adeguatamente bilanciate nell’ordine cosmico delle cose ma è altrettanto palese che ogni tanto succede.
Agli Stati Uniti del basket è successo. E’ successo ancora, direte voi. Se va avanti così succederà ancora: Ulisse si è accorto subito di aver fatto una vaccata ma questi prendono mazzate da ormai dieci anni, dal Brasile, 19 punti alle Olimpiadi dai parenti poveri e un po’ puzzolenti di Portorico e ora dalla Grecia che li ha eliminati con una disinvoltura disarmante. Come fanno ad essere ancora primi nel ranking FIBA? Vabbè, ci sarà qualche regolamento interno che ci sfugge.
La cosa bella è che per loro è sempre colpa di qualcuno se perdono: è colpa della rogna, è colpa degli arbitri, è colpa di quelli che non sono venuti, del fuso orario, dello tzatziki che ho mangiato ieri sera. E’ sempre colpa di Villeneuve, come diceva un mio amico.
Adesso noi dobbiamo stare attenti a non farci prendere la mano dalla ubris: OK, gli americani non sono mica questi e non possiamo sparare contro la Croce Rossa che è già stata peraltro bombardata di suo.

Però ce le tirano proprio fuori: coach K che non sa ancora né le regole FIBA né i nomi dei suoi avversari, Joe Johnson che continua ad affermare che gli americani sono l’unico avversario di sé stessi, Elton Brand che dice che ad Atene c’erano 500.000 persone in piazza Omonia per festeggiare e se avessero vinto gli Stati uniti non ci sarebbe stata nessuna parata. “Dobbiamo capire che per loro ogni partita è una Finale NBA. E’ la loro occasione per farsi conoscere”, ha continuato l’ala dei L.A.Clippers. Peccato che Brand non abbia ancora capito che certi Europei, dall’età di sedici anni, giocano anche le amichevoli di agosto come se fossero una Finale NBA.
E i giornali americani? Qualcuno già vuole - il fuoco sacro della polemica peraltro è rimasto acceso solo due giorni - cacciare Coach K per Phil Jackson (vabbè, l’approccio sarebbe quantomeno diverso), qualcuno vuole mandarli in ritiro per due mesi, qualcuno lamenta l’assenza di Iverson e Duncan (che erano ad Atene due anni fa e ne persero tre in una settimana) e qualcun altro quella dei tiratori (ma quando c’erano Pierce e McGrady ai Mondiali quattro anni fa quando gli USA finirono sesti).
Shane Battier non ha trovato di meglio che dire: “Adesso il mondo ha finalmente una buona considerazione di noi. Ha capito che non siamo più quelli di una volta. Siamo una squadra come tutte”. Bella consolazione a cui, ovviamente, Vassili Spanoulis, proprietario di una di quelle facce che non vorresti mai incontrare nei vicoli bui del mercato del pesce di Patrasso – ha replicato: “Al mio arrivo ai Rockets voglio vedere se trovo ancora qualcuno che non mi porta rispetto”.
Come i Greci qualche anno fa portarono il cavallo in dono a Troia e i Troiani, convinti di essere più belli, più bravi e più forti, si rovinarono con le loro stesse mani, così ancora i Greci hanno regalato dodici punti nel primo tempo agli americani e poi li hanno massacrati nella ripresa, sotterrandoli insieme al loro amor proprio.
Ci sottrarremo a facilissimi accostamenti pseudo-sociologici che vorrebbero la tracotanza del cestista americano medio rispecchiarsi in quella del politico americano medio. In entrambi i casi, il problema sono i rapporti tra loro e il resto del mondo.
La disgregazione della società americana, da più parti riconosciuta ed attribuita alle abitudini dei tempi moderni, coincide forse con quella ben più palese del dominio sul mondo della pallacanestro.
Sorprende il fatto che alla guida del manifesto dei buoni propositi ci sia un portatore sano di buon senso come ci dicono essere Brian Colangelo. Dino Meneghin, peraltro, in una chiacchierata informale ma riportabile, l’altro giorno raccontava che è stato Mike D’Antoni e non Carmelo Anthony a batt

E’ che qualcosa deve cambiare nel loro approccio. Devono capirlo, prima che volerlo.
“Io lo sapevo che finiva così. La verità è che ci sono tonnellate di giocatori là fuori che potrebbero comodamente giocare nella NBA"scrive Paul Coro, giornalista e scout dei Suns su “The Arizona Republic”.
Che dire? Aspettiamo il 1 novembre quando Andrea esordirà. Speriamo non ce lo rovinino. Quanti chili e quanti centimetri di circonferenza “spalle” avrà messo quest’estate?
Nel frattempo, la futura prima scelta Marco Belinelli, che ne ha messi 25 contro gli Stati Uniti, viene coperto di complimenti da coach K e viene inseguito a randellate da Fabrizio Frates perché non sa difendere e non sa penetrare.
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