Basketball Hall Of Fame 2006

Il tecnico italiano, coach della nazionale campione d'Europa nel 1983, è entrato nella Hall of Fame. Parata di grandi della pallacanestro mondiale ad applaudirlo.
Sandro Gamba l’America, ce l’aveva nell’indirizzo di casa: nato e cresciuto in via Washington a Milano. Ancora piccolo ascoltava clandestinamente i dischi di swing negli intervalli di Radio Londra. Poi la guerra aveva finito di segnare il suo destino: “Stavo giocando a calcio per strada e in una sparatoria fra partigiani e nazifascisti mi ferirono a una mano. I medici me la volevano amputare, furono quelli americani a salvarmi. Nel cortile del loro ospedale, durante la convalescenza, scoprii la pallacanestro: fu amore a prima vista”. L’America l’aveva catturato così e non l’ha più mollato. La prima volta che andò oltre oceano era il 1965. Ora, 104 viaggi dopo, il suo nome lampeggia su un enorme tabellone a fianco della Interstate 91 come uno dei prescelti per entrare nella Hall of Fame del basket, a poche centinaia di metri da dove il pofessor James Naismith nel 1891 aveva inventato il gioco.
LAUREA. “Per me è come ricevere una laurea honoris causa alla carriera”, dice Gamba di fronte a una platea di grandissimi durante il discorso ufficiale per l’introduzione nel mitico Santuario. Charles Barkley, Joe Dumars, Dominique Wilkins, Geno Auriemma e David Gavitt sono i compagni che rimarranno con lui nella storia come la classe del 2006. Con la loro foto sistemata nella volta della cupola assieme a quella dei 263 già immortalati dentro al Museo. Nella teca di Gamba, hanno scritto: “Ha dato cuore e anima per il basket del suo Paese”. Nel suo discorso, il coach milanese racconta, con una punta di emozione, la storia americana della sua infanzia e quando finisce, Doctor J, Kareem Abdul Jabbar e un elenco di celebrità che mette i brividi si alzano in piedi per un lungo applauso. Non capita spesso. Era successo a Cesare Rubini nel 1994 e tre anni fa a Dino Meneghin.
David Stern, commissioner della Nba, gli si avvicina e scherza: “Voglio una foto con te, così divento famoso”. Lou Carnesecca, italoamericano, santone di St.John’s, che lo ha presentato per l’introduzione, racconta: “E’ un grande onore e se lo merita tutto. Sandro è riuscito a catturare perfettamente la filosofia americana. Quando venni a Roma nel ’65, la vostra palla era ancora un po’ quadrata”. Mike Fratello, ora coach dei Grizzlies, aggiunge: “Se lo merita davvero: lo conosco da un sacco di tempo. Abbiamo fatto assieme molti clinic: sono un suo ammiratore, ha sempre avuto una grandissima passione per questo gioco». Il grande Jerry West: “Ha incoraggiato molti altri coach e giovani giocatori”. Bill Bradley, che fu allenato da Gamba a Milano: “Lui e Rubini sono stati al top dell’eccellenza”.
STAMPELLA. Gamba si appoggia a una stampella mentre stringe le mani più famose della storia del suo sport: “Nel mio primo viaggio durato 40 giorni, venni qui per capire. Ora si sa tutto dell’America ma allora.. Tornai con un pacco di appunti alto così. Da Bobby Knight ho imparato difesa, dialettica e come si insegna la pallacanestro. Dean Smith era un innovatore. Negli Usa ho appreso anche la psicologia dello sport, come motivare, cosa dire nello spogliatoio”. Il suo ricordo preferito: “Avevo battuto l’Urss in semifinale all’Olimpiade dell’80. Qualche mese dopo ero al Madison Square Garden, lo speaker mi annuncia durante una partita come l’allenatore che aveva battuto i sovietici. Roba che ti rimane addosso per sempre». Da via Washington a Springfield è un viaggio lunghissimo, ma come Gamba ha insegnato, non impossibile.

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