Rivalutiamo la figura dell'allenatore

Allenatore… Dal vocabolario italiano è “…un tecnico specializzato che dirige e segue l’allenamento di una squadra di calciatori, ciclisti, ecc o di un atleta in particolare…”. Ma cosa fa nell’arco della sua giornata? Quali sono le sue funzioni? Quali sono i confini operativi all’interno dei quali deve lavorare? Sarebbe troppo riduttivo catalogarlo come colui che si limita a far svolgere un allenamento… L’allenatore può (dovrebbe) essere molto di più! Nella figura dell’allenatore ci sono mille altre funzioni, spesso non rivelate.
Il ruolo dei club sportivi nella società civile è enorme. Nella loro attività, questi offrono un “servizio”
che né la scuola, né altre strutture pubbliche riescono a svolgere con pienezza.
I Club (associazioni senza fine di lucro) fanno promozione ed avviamento allo sport e l’attività sportiva (ricordiamolo) rimane un elemento fondamentale nel sano sviluppo del giovane. Per questo importante ruolo, ogni società ha bisogno di una sua efficace struttura organizzativa. Essere organizzati significa predisporsi per le più piccole sfumature legate all’attività. Ma l’organizzazione, purtroppo, è ancora una condizione di poche realtà e non sto parlando solo di piccoli Club e non solo nel basket.
Molte sono le figure professionali che a vario titolo possono incidere per un buon “servizio”. In molti club è naturale trovare un segretario, più dirigenti, molti allenatori ed istruttori e molte altre importanti figure. Le società sportive non possono prescindere da un allenatore competente. Il coach in questo staff, partecipa più degli altri alla vita della società. Rappresenta o dovrebbe rappresentare un valore aggiunto del club. La storia di molti successi nel basket conferma la mia affermazione.
Ma veniamo all’essenza del ruolo del coach.
Nella mia esperienza di Coach con i quali ho potuto lavorare, da Massacesi a Corradini, da Flammini a Cipriani, da Di Fonzo a Bianchini, da Caja a Pancotto e da tutte le figure non specificatamente tecniche da Barilari a De Micheli, da Falcomer a Mencattini e da tutti gli altri che magari dimentico, ho ereditato un concetto che è stato il faro ed il mio unico punto di riferimento in questi anni, quello di fidarmi di una sola cosa: il lavoro in palestra.
In questi venticinque anni di lavoro nella pallacanestro, ho assorbito e filtrato quanto più possibile dai miei capi e colleghi. Da queste esperienze mi sono fatto una scala ideale del termine lavoro, una sorta di tavola della legge: non lavorare, lavorare male, lavorare, lavorare bene.
Da giovane credevo che una buona parte dei risultati di un allenatore fossero il frutto di buone conoscenze di manager o dirigenti, dall’essere legato a qualche carro, dal far parte di un gruppo o associazione, ecc.…. Oggi, di tutto questo ho riscontrato sì una sua reale importanza, ma comunque minima. L’aspetto più sicuro rimane uno ed uno solo: il lavoro in palestra.
Spesso noi allenatori siamo avvicendati per scarsi risultati. Nella mia unica esperienza d’esonero (corro indietro alla stagione 1989-90, Palmi in C1), fui esonerato a tre giornate dalla fine del campionato, non per motivi tecnici (sempre nelle prime posizioni dall’inizio della stagione, terzo in quel momento), quanto perché mi venne la voglia di dire al Presidente che era una persona scorretta e questo di fronte ad altre persone della società. Avevo ragione. Mi volli togliere questa soddisfazione assumendomene la responsabilità; fui esonerato. E’ rimasta una grande esperienza sportiva e di vita.
Da cosa può dipendere un esonero? Mediamente si è esonerati per scarsi risultati o per risultati non in linea con le aspettative di inizio stagione.
Prima di ricercare responsabilità altrui, è bene capire quanto noi ci abbiamo messo del nostro. Nella costruzione della squadra, siamo sicuri che i giocatori che abbiamo scelto per la nostra squadra, rispondano a quei requisiti e a quelle caratteristiche tecniche che cercavamo? E nella chimica di squadra, abbiamo valutato se l’assemblaggio è quello giusto? Certo, i giocatori fino a quando non li alleni, non puoi mai renderti realmente conto se sono quelli che fanno per te, ma il nostro ruolo è quello di contenere al massimo la forbice dell’errore. Più ci informiamo, documentiamo e verifichiamo le notizie in nostro possesso sui giocatori che vogliamo prendere per la nostra squadra, minori saranno gli errori di valutazione, che ci condizioneranno durante la stagione.
Ma oltre alla scelta dei giocatori, dobbiamo definire con chiarezza, insieme a dirigenti e società, gli obiettivi e le ambizioni della squadra e, questo in relazione al materiale umano che abbiamo a disposizione. Non possono esserci equivoci durante la stagione, tutti dobbiamo essere consapevoli di dove vogliamo andare, di cosa raggiungere, quali obiettivi e risultati finali per non essere giudicati solo in relazione al risultato della domenica.
Il lavoro quotidiano ci mette al riparo da molte situazioni che possono offrire il fianco ad ingiustificate critiche. Preparazione degli allenamenti, proposte di lavoro sia collettive che individuali (ce ne sono sia per i più giovani, che per i grandi; tutti possono aver bisogno di un supporto tecnico individuale), presenza attiva in palestra, puntualità, disponibilità extra orario d’allenamento, analisi e critica del lavoro proposto in relazione a quello che abbiamo visto sul campo, studio degli avversari, confronto con i colleghi, osservazione del lavoro altrui, aggiornamento, conoscenza del parco giocatori sia di diretta pertinenza per il campionato svolto sia per altri campionati, e tanto altro... Tutte cose che possono e devono essere presenti nella “valigia” di un allenatore.
L’allenatore programma e periodizza (o gli dovrebbe essere permesso di fare…), prende decisioni importanti sulle quali si muovono dirigenti, manager e presidente. Ma l’allenatore può essere anche quello che si sveglia alle dieci del mattino, va in sede per leggere i giornali, si vede con qualcuno al bar per prendere un aperitivo... Stessa figura, due “percorsi lavorativi” differenti.
Certo ci sono anche situazioni dove ti capita di scontrarti con la limitata esperienza di alcuni dirigenti e le loro difficoltà ad interpretare il nostro lavoro in palestra ed inevitabilmente le loro valutazioni si limiteranno esclusivamente al risultato! Vinci e sei bravo, perdi e sei un brocco…
Se veramente siamo attenti e scrupolosi, se veramente siamo capaci di dedicarci con professionalità e spirito di abnegazione al nostro lavoro, di sicuro stiamo investendo su noi stessi, stiamo creando le condizioni per far valere il nostro ruolo, la nostra cultura.
Proprio da queste considerazioni, in questi ultimi anni mi sono sempre più convinto che è assurda la disparità contrattuale che c’è tra noi allenatori ed i giocatori che alleniamo. L’attuale situazione è “un luogo comune”, che solo pochi colleghi di altissimo livello riescono a ribaltare, garantendosi equilibrate retribuzioni. E’ una disparità ingiustificata.
Perché non possiamo essere gratificati contrattualmente, non dico al pari di un giocatore importante, ma sicuramente in una fascia medio alta? Se chi ci paga e ci ha scelti riconosce in noi le capacità tecniche, morali, manageriali nel gestire dieci giocatori di cui quattro, cinque o forse più, particolarmente importanti, se il presidente ci chiede di allenarli, perché non ci parametra alla loro fascia media contrattuale? Perché l’allenatore che è una sorta di “direttore del personale” di dieci teste, deve avere la responsabilità che gli è riconosciuta ma non l’adeguato trattamento economico? Perché un presidente è disposto a prendere un giocatore offrendogli un contratto importante ed al suo allenatore non dà la stessa importanza economi
ca ma anzi (salvo poche eccezioni) lo valuta ad un quinto, un decimo, dello stesso giocatore? Allora forse quel presidente si è sbagliato? Ha valutato troppo il giocatore o troppo poco l’allenatore?
Ma prima di questa giusta rivendicazione, ci siamo messi nelle condizioni di far valere le nostre richieste? Abbiamo creato i presupposti perché la proprietà debba seriamente considerare le nostre pretese sulla base di quello che quotidianamente ha riscontrato e vede dal nostro lavoro?
Deve finire questa enorme disparità tra i giocatori e la figura dell’allenatore. Noi dobbiamo essere i primi artefici di questo, non accettando situazioni capestro e proponendoci, sempre, disponibili e preparati. Siamo noi l’ago della bilancia del nostro futuro e, prima o poi se siamo veramente bravi, qualcuno se ne accorgerà e ci chiamerà nella sua società ma alle nostre condizioni. Dipende da noi dare un senso ed un voltare pagina al “capitolo” degli allenatori.

“Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno, ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi”. Ernest Hemingway

di Marco Calvani da Basketnet.it del 13/03/06

Commenti

  1. abbastanza d'accordo. per esmpio per me è molto importante saper motivare, oltre al lavoro (esempio con le giovanili, fondamentali + motivazione, e anche motivazione a lavorare sui fondamentali :) )

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  2. Salve Coach, come stà? sono un ragazzo di Torino, non ci conosciamo e per caso ho incontrato questo magnifico blog, se ha voglia le lascio il mio contatto msn perchè è sempre bello parlare con un allenatore capace come mi sembra lei, inoltre essendo io giocatore e magari in futuro se mi dovessi rompere del tutto un allenatore mi piacerebbe ricevere consigli... stefanobasket@hotmail.it [come vede il basket è proprio dentro me ^__^ ]

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