Da "Time Out"

Riporto un mio articolo, prossimamente in stampa sul giornalino interno dell'USSGB Abbiategrasso, dove interpreto la conduzione di una squadra giovanile, sotto l'aspetto puramente spicologico, spero possa essere di vostro interesse.
"Vorrei soffermarmi, in questo spazio gentilmente concessomi, nel descrivere, nel modo più semplice possibile, cosa intendo quando parlo di concetto di “squadra”: la mia intenzione non è quella di soffermarmi sugli aspetti tecnici, che penso non possano interessare molto il lettore, ma la conduzione di un gruppo di ragazzi (con riferimento all’età Under 14/16) attraverso le varie tappe per il raggiungimento di un obbiettivo “comune”.
Credo che lo sport in generale assomigli molto alla vita, di conseguenza non sempre lo sport é educativo, formativo e quindi totalmente positivo. Qualsiasi cosa può essere positiva o negativa, quindi anche lo sport o meglio, nel nostro caso, il basket, ma dipende da come si fa: se si fa bene é positiva, se si fa male é negativa o almeno molto probabilmente può esserlo. Per la mia esperienza, però, lo sport di squadra é uno strumento senza confronti ed é sempre positivo se viene presentato come progetto di persona. E’ quindi importante che sia sempre al servizio del ragazzo e del suo sviluppo. E poi l'educazione sportiva é anche educazione alla vita perché insegna a legare il successo ai sacrifici.
Il basket rappresenta il carattere della sfida (la sfida fra due squadre). Soprattutto con i giovani la sfida ci deve essere sempre.
Nel basket la sfida, prima ancora che vincere o perdere una partita, é personale ed é quella della difficoltà del gesto tecnico.
La grande sfida iniziale che fa giocare a basket é il desiderio, il piacere di fare canestro. La sfida é provare a fare una cosa perché non ci riesco, perché sono piccolo, perché non ho la forza. E questa é una sfida straordinaria.
Per questo l'allenatore deve mettere costantemente i giocatori davanti ad una sfida e il suo compito fondamentale é quello di insegnare senza snaturare il carattere di sfida che il basket rappresenta. Un allenatore deve poi dare la giusta mentalità: deve ad esempio evitare di spiegare perché una cosa non si può fare, trovando invece una soluzione, il mezzo per raggiungere l'obiettivo.
Bisogna, fin dall'inizio, stabilire degli obiettivi per la nostra squadra, in funzione di uno studio della situazione e delle condizioni, con l'ottimismo però che potremmo trasformarle in meglio. Non bisogna, invece mai mettere le mani avanti, sapendo però che non tutto é possibile. Un aspetto determinante in una società, però, é quello che nessuno deve parlare di alibi: né i giocatori verso l'allenatore, né i dirigenti verso i giocatori ecc.
Nello specifico, l’obbiettivo primario è quello di costruire una squadra, inserendo in questo concetto, tutti gli aspetti che permettono di evidenziare e valorizzare questa idea
Per il conseguimento di tale scopo, puntiamo al raggiungimento di uno degli elementi fondamentali nella nostra costruzione di “concetto di squadra”, il componente primario, la matrice sulla quale porre le basi: dobbiamo creare dei giocatori di pallacanestro.
Non abbiamo, certamente, la presunzione di creare dei campioni, ma la necessità di trovare e sviluppare quelle caratteristiche tecniche, fisiologiche e caratteriali che ci permettano di integrare ogni singolo componente, con le sue personali peculiarità, all’interno del concetto di gruppo e squadra, così che ognuno sappia trovare e conoscere il proprio spazio e la propria collocazione e trovarne il giusto equilibrio e le giuste motivazioni.
Di conseguenza, la nostra prima necessità funzionale, è quella di trovare una filosofia comune, il più possibile avvicinabile e concreta, svilupparla in funzione degli obbiettivi sopraespressi e valorizzarla a tal punto da farla diventare “mia” ad ogni singolo componente.
Valorizziamo e risaltiamo le scelte che hanno spinto i nostri ragazzi ad esprimersi attraverso la pallacanestro: motiviamo la loro passione e indirizziamo la necessità del singolo di accrescersi con il resto del gruppo, di trovare quotidianamente nuove motivazioni; ottimizziamo il concetto di rinunce, sacrificio, fatica, concetti che da una passione come la loro non sono imposti, ma semmai dettati.
Il venire in palestra deve rappresentare la libertà di potersi esprimere, di trasformare la loro passione da astratta, in gesti concreti, di divertirsi: da qui il concetto del gioco che deve rappresentare, non la dimostrazione di quello che si è appreso, ma metodologia d’insegnamento, in modo da permettere al giocatore, di focalizzare la situazione, valutarla e risolverla in autonomia e meccanizzarla con più facilità.
Questo concetto, in ogni caso, non significa che non debbano essere fissate delle regole, che valga l’anarchia in palestra: le regole, soprattutto per eliminare le “cattive abitudini”, devono essere dettate da subito, capite ed accettate, in modo da non creare scappatoie, nessun giocatore deve poter trovare scuse, soprattutto a questo livello, dove bisogna alimentare anche il concetto di responsabilità.
Un giocatore deve giocare per se stesso, per la sua dignità d’atleta e d’uomo e per la propria squadra. E’ impensabile che un ragazzo (soprattutto a quest’età) possa giocare per i genitori, per l'allenatore e via dicendo. Se un giocatore avrà assimilato la voglia di essere, di fare, di giocare, non ci sarà più bisogno di nessuno; la molla sarà dentro di lui, e sarà quella molla che gli farà recuperare una palla decisiva, prendere il rimbalzo della partita, vincere una partita o fare delle piccole cose dal valore però inestimabile.
Bisogna inculcare l'idea che la squadra viene prima di tutto. Pretendo che ognuno migliori continuamente la propria capacità di stare nel gruppo, di avere fiducia e rispetto dell'altro, di dimostrare spirito di collaborazione. Ma soprattutto ogni singolo giocatore deve considerare la sua squadra come qualcosa di proprio.
Una squadra unita può raggiungere un valore complessivo superiore alla somma dei valori individuali dei singoli componenti.
La squadra nasce quando tutti hanno accettato di dividere situazioni, trasferte, cibi, impegni, rinunce: senza mai chiedere privilegi, senza mai differenziare un titolare da una riserva, un dirigente da un’atleta, un allenatore da un collaboratore. Il gruppo nasce perché nella mente di tutti la squadra é più importante di qualsiasi altra esigenza. La squadra deve essere una scelta, non un obbligo. Così il gruppo si consolida, si fortifica nel rispetto reciproco, nell'accettazione serena dei ruoli, ci sono i titolari e ci sono le riserve. Però anche il titolare scarica le borse o porta i palloni. La sua superiorità deve dimostrarla altrove, deve dimostrarla in campo. Una squadra diventa tale quando apprende anche quel che serve emozionalmente e psicologicamente per vincere.
Se ciascuno di noi riesce ad accettare i limiti dei compagni e dei tecnici, diventeremo una squadra vincente.
Con questi concetti ben stampati e memorizzati (soprattutto accettati) da tutti, si potrà poi partire con l’aspetto puramente tecnico, sviluppare la filosofia del gioco difensivo, del contropiede e dei giochi offensivi, perché diventerà chiaro a tutti come lavorare per migliorarsi."
Bollini Matteo

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